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    Cerignola, Allamprese e il senso del 25 Aprile

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    In una lettera aperta inviata in Redazione Michele Allamprese, consigliere comunale in forza al centrodestra, traccia il senso, secondo il proprio punto di vista, della ricorrenza del 25 aprile. Di seguito il documento completo.

    Sono trascorsi quasi settantanni dal 25 aprile 1945 eppure la festa della Liberazione continua a dividere anche generazioni che con la guerra civile del 1943-45 e più ancora con l’esperienza tragica del fascismo e quella salvifica della resistenza, sono lontane anagraficamente. Mi chiedo se non sia giunto il momento di superare le divisioni e gli steccati che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese in questi ultimi sette decenni, e mi domando se tutto questo non possa partire proprio da Cerignola e dalla nostra generazione. Da dove si può cominciare un dibattito davvero condiviso e post-ideologico? Innanzitutto dal chiarire in modo definitivo che nella tragica guerra civile, la parte giusta era chiaramente quella della lotta contro il nazifascismo, “senza se e senza ma”. Ora, e fatta questa ovvia premessa, è opportuno svolgere alcune riflessioni, forse scomode, ma a mio avviso essenziali circa l’accertata realtà storica. In primis non si può non ammettere che la spinta ideale di tanti ragazzi che scelsero di andare a morire a Salò, ferma restando la condanna per la scelta sbagliata, possa essere ritenuta meritevole di un giudizio non affrettato. Inoltre, credo, che sia giunto il momento di ammettere, sempre previa sottolineatura che la parte giusta era quella della resistenza, che anche detta esperienza ha vissuto pagine oscure. I libri di Pansa, un autore non certo di destra, ci hanno fatto conoscere le pagine oscure, fronte resistenza, della guerra civile. Indiscutibile, poi, che un eccidio è tale, chiunque lo compia; e allora tanto di cappello ai sette fratelli Cervi, ma altrettanto onore e rispetto per i sette fratelli Govoni. Censurabile, poi, è l’oblio steso sulla tragedia vissuta dai connazionali dell’Istria, della Venezia-Giulia e della Dalmazia è una vergogna nazionale cui, finalmente, e in modo condiviso grazie a uomini intelligenti come Napolitano e Violante, si è posto un argine.

    L’esperienza del fascismo, poi, non può essere relegata alle leggi razziali e all’entrata in guerra al fianco della Germania (due errori mortali e da soli idonei a condannare per sempre il fascismo come una esperienza tragica per il nostro Paese) ma va analizzata innanzitutto dal punto di vista sociologico. Il consenso verso il regime e verso il Duce, che raggiunse nel 1936 il suo massimo culmine, così come il riconosciuto prestigio internazionale dell’Italia certificata dalla conferenza di Monaco del 1938, non possono essere taciute neppure per comprensibili finalità pedagogiche. Siamo una democrazia matura e compiuta e non più fragile e sotto le scure di due estreme fazioni, come negli anni 70, possiamo raccontare ai nostri studenti la verità, senza pur comprensibili censure pedagogiche. E la verità è che era Italia anche quella fascista, che le opere pubbliche, le leggi di tutela sociale, i codici ancora in vigore, le riforme scolastiche o la soluzione della questione romana non potranno mai giustificare gli errori commessi dal regime; quindi, di tanto se ne può parlare senza timore alcuno di rigurgiti nostalgici. Il nostro Paese non ha smesso di esistere nel 1922, per rinascere nel 1945 (o nel 1943); lo Stato (o meglio la Patria) è in continuità con i suoi errori e le sue ambiguità e miserie. Anche il fenomeno della seconda guerra, il cui sostegno iniziale da parte della popolazione è indiscutibile, è stata una esperienza italiana e non solo fascista. I tanti ragazzi mandati a morire in Russia, sul fronte greco-albanese o nell’Africa orientale sono morti da italiani e non da fascisti. E allora devo considerarmi fascista se esalto le imprese militari italiane della seconda guerra dichiarandomi orgoglioso dei ragazzi che hanno combattuto sul Don, a El Alamein o nel tragico ed eroico assalto di Nicolajewka? Dunque, per chiudere questa mia e nello scusarmi per la lunghezza, mi chiedo se non sia giunto il momento che la festa della Liberazione perda quei connotati ideologici, anche comprensibili, ma ormai fuori dal tempo per riempirsi di bandiere tricolori? E se proprio da Cerignola partisse questa spinta ideale verso una compiuta pacificazione nazionale? Una pacificazione che passi attraverso una condivisa idea di Patria che parte dall’Elmo di Scipio attraversa gli anni bui ma anche sperimentali del medio evo, passi dal risorgimento e prosegua per la prima guerra, il ventennio, la resistenza e giunga ai giorni nostri. Lo chiedo alla mia generazione, e a coloro che hanno, come me, responsabilità politiche. Mi rivolgo al segretario locale del Partito democratico, per esempio, che riconosco essere persona libera da steccati ideologici e culturalmente onesto. La nostra generazione è al governo del Paese e assumerà la responsabilità, l’onere e onore di cambiare il Paese, partiamo da qui, partiamo dalla nostra Cerignola.

    7 COMMENTS

    1. “Il 25 Aprile noi ricordiamo chi decise di liberare l’Italia dall’oppressine nazifascista”.

      c’e qualcosa da aggiungere ?

    2. oggi parliamo di cucina, dai. la ricetta del sartascinello.
      Quando non si ha da dire non si deve dire

    3. A quelli che come me…..hanno responsabilita politiche…..A COSO….MA KI SEI KI TE CONOSCE MA TU QUALI RESPONSABILITA HAI MA DE KE….

    4. Se la nuova generazione politica ha questo spessore…siamo tranquilli!!certe persone farebbero meglio a tacere al posto di dire ……

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