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    Disastro Italia, è ora di una riforma epocale del sistema calcio

    Una rivoluzione necessaria per restituire splendore nel momento più basso dal secondo dopoguerra

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    Sessanta anni dopo, l’Italia non sarà presente alla massima rassegna calcistica: lo 0-0 di Milano con la Svezia nel ritorno degli spareggi di qualificazione della zona europea, impedisce alla Nazionale di partecipare ai Mondiali in programma in Russia dal prossimo giugno. E’ il punto di non ritorno di una crisi senza precedenti del nostro pallone, che coinvolge anche le squadre di club ma a ben vedere il periodaccio tocca non soltanto lo sport più praticato in Italia. Solo undici anni fa, la formazione all’epoca allenata da Marcello Lippi si laureava campione del mondo in Germania: da quel trionfo non è scaturito un sano rinnovamento, ma un peggioramento costante che doveva già far riflettere i vertici della Figc. Un patrimonio dissipato in poco tempo, senza che chi di dovere prendesse provvedimenti. Già fuori al primo turno nell’edizione 2010 in Sudafrica, gli Europei del 2012 (sconfitta in finale dalla Spagna) avevano solo dato un colpo di spugna alle palesi macchie che sarebbero ricomparse due anni più tardi con la seconda eliminazione consecutiva al Mondiale del Brasile. Antonio Conte invece ha ridato linfa e vigore all’azzurro spento, infrangendosi contro i tedeschi e solo ai rigori poco più di un anno fa nella competizione continentale.

    Una delle nazionali più scarsamente dotate tecnicamente dal secondo dopoguerra in poi resterà a guardare le altre nazionali dal divano, e la situazione non cambia anche a livello di club: l’ultima Champions League italiana è datata 2010, in Europa League la vittoria finale manca da quasi vent’anni (l’ultima nel ’99); lo strapotere economico-finanziario e tecnico di Spagna, Germania e Inghilterra sotto gli occhi di tutti. E’ imprescindibile e non più rinviabile una riforma strutturale e decisamente ragionata di tutto il sistema calcio, partendo dalle fondamenta e non basandosi sull’impulsività unica e pura, come accaduto con la chiusura delle frontiere dopo la clamorosa sconfitta per mano della Corea del Nord ad Inghilterra ’66. Rinnovamento dei vertici federali, investimenti mirati sulla formazione giovanile, tutela del patrimonio autoctono. E’ ciò che serve al pallone tricolore per splendere di nuova luce e per recuperare il tanto terreno perso nei confronti delle storiche rivali che ora fanno man bassa di allori. Gli esempi ce ne sono: il Belgio, ma soprattutto la Germania, ripartita alla grande dopo il fallimento dell’Europeo 2000 pari a quello vissuto poche ore fa da Buffon e compagni. In tempi di globalizzazione non si può certo vietare l’arrivo di calciatori stranieri, le bacchette magiche non esistono ma, tuttavia, utili accorgimenti (alcuni forse sembrano un po’ “estremi” ma di certo congrui alla situazione contingente) possono davvero fare al caso dell’Italia.

    • Un numero massimo di otto stranieri in rosa per le formazioni di A e B, con altrettanti elementi di provenienza italiana del settore giovanile cresciuti in casa. Le grandi società storceranno sicuramente il naso, ma competitività e grandi spese non vanno di pari passo e non garantiscono trionfi: meglio anni di magra con un possibile ritorno di benefici e per i club e per la Nazionale a lungo termine.
    • Ridurre a max due elementi l’acquisizione di giovani stranieri dalle squadre Primavera. E’ una immane forzatura, oltre che un abominio concettuale, vedere le squadre più quotate che fin dagli Allievi “importano” giovani calciatori stranieri, per non parlare della Primavera in cui già il numero di stranieri rispetto agli italiani è fortemente sbilanciato a favore dei primi. Più attenzione alle nostre promesse, meno contagi ad esotiche voglie.
    • Creazione di accademie giovanili per la crescita dei talenti e punti di contatto con centri di formazione da dislocare in tutto il territorio nazionale, sotto la supervisione di osservatori ed allenatori federali. Un monitoraggio costante fin dalla tenera età consente quanto più possibile di formare e di rendere quella che è considerata una promessa una realtà, assimilando schemi e principi di gioco e sviluppando al meglio le proprie caratteristiche. Un qualcosa che arricchisca il lavoro già svolto dalle squadre di appartenenza, che formi quasi ininterrottamente. Fino a qualche anno fa c’era l’imbarazzo della scelta fra i vari Maldini, Nesta, Cannavaro, Pirlo, Baggio, Del Piero, Totti, Inzaghi…da quanto tempo non si vede un talento puro in maglia azzurra?
    • Istituzione di squadre B dei club della massima serie o almeno dei maggiori di essi, magari per farli partecipare alla serie C, come accade appunto in Germania o Spagna. (In alternativa al punto 2) I ragazzi del vivaio possono mettersi in mostra in partite che mettono ogni domenica punti pesanti in palio, cimentarsi già con continuità con tornei difficili e farsi le ossa nel miglior modo possibile. Sopperendo tra l’altro alla carenza di iscrizioni o fallimenti nella seconda serie. Non è tollerabile che un calciatore di 26 anni in un top club sia ancora al decimo prestito ad esempio (e con tutto il rispetto) al Crotone per valutarne le qualità, mentre Saul Niguez a 22 anni è titolare fisso da tre anni nell’Atletico Madrid.
    • Il coraggio di cambiare governance e concedere opportunità ai talenti. Una riforma globale e rivoluzionaria deve avere gente disposta ad applicarla, con un reale programma sul tavolo. Non i soliti burocrati conservatori, non procuratori protagonisti. Ognuno deve fare la propria parte, dalla Federazione ai club, i quali devono puntare sui giovani senza eccessiva e snervante pressione. Gli errori servono per imparare, e senza esperienza non si progredisce. Ci dev’essere la propensione al rischio, merce molto rara nel nostro Paese.

    Se Sparta piange, Atene non ride: l’Italia non è più una potenza mondiale anche negli altri principali sport. Basti pensare che l’ultimo risultato di rilievo nel basket è l’argento olimpico del 2004, nella pallavolo -terra di conquista sia maschile che femminile- la vittoria più recente risale al 2009 con le donne prime all’Europeo ed è estemporaneo il secondo posto a Rio 2016 degli uomini, vista l’eliminazione nella rassegna continentale di qualche mese fa. E’ tempo di agire, ogni altro rinvio sarebbe catastrofico e gli effetti potrebbero protrarsi molto oltre il lecito. Non è concepibile un Mondiale senza Italia, si diceva nel pre-confronto con la Svezia: dal fondo si può solo risalire, gli esempi non mancano. Un flop che fa male a tutto il sistema, ad ogni modo quasi annunciato ripercorrendo i risultati delle ultime competizioni. Basta solo la ferma volontà ed un impegno ferreo per restituire dignità e splendore ad un movimento che ha toccato uno dei punti più bassi della propria storia.

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