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    Viaggio a Monteleone: la “Riace” di Puglia col suo sindaco di origini cerignolane

    Un reportage nel paesino che si è salvato dallo spopolamento grazie all’accoglienza e l’integrazione degli immigrati

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    Tra campi sconfinati e pale eoliche, a pochi chilometri dal confine con la Campania, immerso nel verde del Subappennino Dauno sorge Monteleone di Puglia, paesino di poco meno di mille abitanti (dei quali parecchi sono anziani) che, come tanti altri situati nelle zone più impervie ed isolate del Mezzogiorno, combatte col rischio di diventare un borgo-fantasma. La storia di questo paese è segnata sin dal secolo scorso dall’emigrazione, soprattutto verso l’America. Basti pensare che solo a Toronto, tra emigrati di prima, seconda e terza generazione, si contano quasi 20000 Monteleonesi. Ma è stato proprio grazie a questa tradizione e alla memoria storica che diventa valore che Monteleone sta scongiurando questo pericolo diventando la “Città della pace e dell’accoglienza”. Il tutto coordinato dal Sindaco, Giovanni Campese, 64 anni, monteleonese di nascita ma cerignolano d’adozione che nel 2015 intuisce, dialogando con le Istituzioni, che per salvare il paese dallo spopolamento la soluzione poteva essere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati richiedenti asilo. «È stata una vera e propria scommessa – spiega il Sindaco ai nostri microfoni -. Abbiamo accolto l’invito dell’ANCI e del Ministero degli Interni che ci chiedevano di contribuire alla risoluzione del problema dell’accoglienza che incontrava la reticenza e la ribellione di altre realtà locali. Così abbiamo messo a disposizione l’ex scuola media dove abbiamo iniziato ad accogliere la comunità dei richiedenti asilo».

    E una delle tre strutture adibite a centro SPRAR è intitolata al “Piroscafo Duca d’Aosta”, la nave sulla quale i Monteleonesi hanno compiuto la traversata dell’Atlantico per arrivare negli States. Un paese di emigrati che accoglie immigrati. «Nel nostro DNA è ben radicato il concetto di ospitalità perché sappiamo cosa vuol dire andarsi a guadagnare il pane in terra straniera. La generosità offerta da altri popoli va ricambiata prima o poi. È qualcosa che ci riguarda tutti quanti e non possiamo fingere che non sia così», racconta Campese. Ma il “sistema Monteleone” non si limita ad accogliere. La sua efficienza nasce dall’integrazione e dall’inserimento nel tessuto socio-economico e culturale del paese: «Una volta arrivati qui i migranti imparano l’Italiano e la cultura italiana, perché se ne diventano padroni possono comunicare e integrarsi più facilmente. Le studiano presso la scuola media di Ariano Irpino ma soprattutto facciamo in modo che siano inseriti tra la gente del posto. Così li portiamo al cinema, giocano a calcio, fanno attività di volontariato, trascorrono il tempo con i ragazzi del paese e alcuni di loro iniziano a lavorare nelle ditte del territorio. L’obiettivo per il futuro è che possano diventare loro stessi piccoli imprenditori e commercianti». La presenza dei circa trenta richiedenti asilo, tra adulti e minori non accompagnati, nel corso degli anni ha iniziato a portare benefici per il piccolo paesino sui Monti Dauni in termini di ripopolamento: «Chi arriva a Monteleone vuole rimanerci, così alcune famiglie, finito il percorso di accoglienza cercano casa e si stabiliscono qui – evidenzia il primo cittadino -. È il risultato di una programmazione a medio e lungo termine». Non solo, l’arrivo dei richiedenti asilo è stata un’opportunità anche per i residenti: «Presso gli SPRAR sono impiegati tredici ragazzi del posto, laureati e non, che altrimenti avrebbero dovuto andare a cercare lavoro fuori Monteleone. Questa esperienza e una corretta comunicazione hanno aiutato anche a cambiare la mentalità dei paesani, che ampliano le loro vedute e comprendono come essere cittadini attivi».

    Appena si arriva a Monteleone questo spirito di accoglienza lo si vede nei dettagli. Lo si vede da come gli abitanti del posto passeggiano fianco a fianco degli ospiti dei centri. «In tutti questi anni sono sempre stati gentilissimi e non ci hanno mai dato problemi. Siamo contenti di vivere assieme a loro”, ci dice un signore, dall’educazione, dai sorrisi sereni e dall’operosità dei migranti. Lo si vede anche dai murales realizzati per le strade della cittadina da artisti internazionali che hanno voluto cristallizzare questo spirito nelle loro opere. Una di queste è un ritratto di Ibrahim, 18 anni, nato in Gambia e giunto a Monteleone dopo la lunga traversata del continente africano. Adesso ha trovato tanti amici, gioca a calcio e studia presso un istituto tecnico. Poi c’è Shamiz, una ragazzina di 15 anni di origine libanese che è partita dal Venezuela per fuggire dalle persecuzioni di Maduro e adesso sogna di diventare mediatrice culturale. «Vivere a Monteleone è bello – confessa -. Qui la gente e simpatica e mi vuole bene anche se sono straniera». Il tratto comune nelle storie di questi ragazzi è la grande sofferenza del viaggio. C’è chi come Abdel ha visto i propri amici morire nel deserto o sotto i colpi dei miliziani libici, è stato ripetutamente picchiato ed è rimasto per ore in mare in attesa di soccorsi dopo che i gommoni su cui erano state stipate centinaia di persone erano colati a picco. Storie che questi ragazzi portano sulle loro spalle e che danno loro la forza e la determinazione per costruire un futuro migliore per loro e per la comunità. «Lavorare con questi ragazzi è molto stimolante perché ogni giorno ci dobbiamo confrontare con realtà completamente diverse dalle nostre – affermano Antonio Morra e Raffaella Cangianiello, operatori della comunità per minori “Orsa Maggiore” -. Hanno trovato una comunità accogliente e hanno stretto legami con gli educatori e con la gente del posto, per questo vogliono proseguire il loro percorso a Monteleone».

    L’esperienza di Monteleone ricorda molto quella di Riace (seppur con le dovute e palesi differenze), un sistema intelligente di coniugare l’accoglienza con le esigenze del territorio, il tutto semplicemente grazie alla corretta applicazione della legge. Tuttavia questo esperimento, a detta del Sindaco Campese, può essere esportato nei piccoli centri garantendo loro una prospettiva per il futuro, ma non è trasferibile nelle medie e grandi città: «In un paese come questo ogni cittadino verifica con i propri occhi l’andamento delle cose garantendo un controllo sociale efficiente. Nei medi e grossi centri ci sono già difficoltà notevoli dal punto di vista della sicurezza. Significherebbe buttare benzina sul fuoco». Sul sistema SPRAR, cuore pulsante del “sistema Monteleone”, rischia di abbattersi la scure del “Decreto Salvini” che segnerebbe la fine della rete dell’accoglienza. Ma Campese si dice sereno: «Credo che questo sia il sistema migliore per dare risposte sia in termini di sicurezza sia in termini di accoglienza. Sono convinto che le asperità di questo decreto con il tempo saranno attenuate. Con i centri SPRAR i piccoli paesi diventano attori dell’accoglienza e non c’è il rischio che diventi un business che cade nelle mani di soggetti senza scrupoli».

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