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    Riflessione sull’ergastolo ostativo: minimi gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale

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    Quando si criticano le esternazioni pretestuose e giustizialiste di Travaglio, dei pubblici ministeri Di Matteo e Gratteri, si corre il rischio di essere scambiati per persone accumulabili ai mafiosi e quindi il discorso si concluderebbe con l’affermazione che chi è favorevole al principio stabilito dalla Corte Costituzionale, è persona contigua ai mafiosi. In questi giorni di discute tanto della sentenza della Corte Costituzionale (e della Cedu) che, secondo i sostenitori del partito giustizialista\manettaro, avrebbe dato la possibilità ai mafiosi di godere di permessi premio a go go. Come al solito, il principio enunciato dalla Corte è stato obliterato additandolo a norma che ha cancellato anni di guerra alla mafia rendendo inutile il sacrificio di Falcone e Borsellino: affermazioni forti, inappropriate e riduttive perchè gli slogans urlati esemplificano il problema senza analizzarlo e lo ridicolizzano. Nicola Morra, Presidente della Commissione antimafia, si è preoccupato e precipitato di divulgare un video sui social in cui preannuncia un provvedimento tendente a neutralizzare gli effetti della pronuncia della Consulta con eloquio ridondante a rima baciata. In realtà, queste esagerazioni sono infondate e fanno parte di un costume politico populista che tende a risolvere i problemi con la bacchetta magica e, poi, non risolve nulla come l’esperienza sta dimostrando. Nessuno ha mai riportato il più bel commento espresso pubblicamente commentando il clamore suscitato dalla sentenza. “Le sentenze sull’ergastolo ostativo automatico non vanno contro i principi che hanno guidato l’azione di mio padre”, così Fiammetta Borsellino sul Foglio del 30.10.2019. Vediamo un po’ cosa cambierà perchè gli effetti della sentenza saranno minimi. Anzi, forse, non cambierà proprio nulla.

    Vivremo con tranquliità il prossimo Natale perchè le nostre città non saranno invase da mafiosi in permesso premio, così come la stragrande maggioranza dei detenuti comuni non trascorrerà le festività con la propria famiglia. Forse non tutti sanno quanto sia difficoltoso ottenere un permesso premio per un detenuto normale e non immagina che sarà quasi impossibile ottenerlo per un ergostolano mafioso non collaborante. Cosicché sarà evitato lo scandalo epocale, come urlato anche in maniera sguaiata da chi si fa portavoce della cultura giustizialista o di un ingiustificato populismo giudiziario. La sentenza della Consulta che dichiara illegittimo l’art.4 bis nella parte in cui omette di riportare la parola “speranza” anche a chi si è macchiato dei più efferati delitti è una naturale conseguenza della giurisprudenza della Consulta ispirata ad una lettura costituzionalmente orientata dell’ordinamento penitenziario (sul punto è bene leggere la sentenza n.149 del 2018 e, quindi cronologicamente anteriore alla presente sentenza, in cui si lanciava un messaggio più forte a proposito dei condannati all’ergastolo per i delitti di sequestro di persona con conseguente morte del sequestrato: delitto efferatissimo, ma non più fashion e per questo la sentenza non è stata accompagnata da tanto clamore). Le norme del nostro sistema carcerario sono un coacervo di limiti, preclusioni e presunzioni di pericolosità sociale che si pongono in netto contrasto con gli articoli 3 e 27 della nostra Costituzione, ovvero con il principio di ragionevolezza e col principio della funzione rieducativa della pena. Qualsiasi altra interpretazione è in contrasto con gli intenti dei nostri Padri Costituenti di cui, più della metà, hanno conosciuto il carcere per averlo sopportato in nome degli ideali della democrazia. Il nostro ordinamento penitenziario attuale è il risultato di corposi interventi novellistici attuati in diversi momenti storici e giustificati dalla legislazione d’emergenza. Così facendo si è pian piano snaturata la portata rieducativa dell’ordinamento e il senso di armonia col dettato di cui all’art. 27 della Costituzione relegandolo a sistema di norme preclusive od ostative alla fruizione dei benefici penitenziari: si pensi all’ultimo intervento con la c.d. Spazzacorrotti, attualmente al vaglio di costituzionalità.

    Il principio enunciato dalla Consulta è encomiabile ma di difficile o impossibile attuazione pratica in quanto la fruizione del permesso premio è sottoposto alla rigida verifica di tre presupposti: partecipazione al percorso rieducativo, assenza di collegamenti attuali (al momento della concessione del permesso) con la criminalità organizzata, assenza di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. In attesa della parte motiva della sentenza, questo è il quadro che si evince dal comunicato diffuso dall’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale. E’ bene rimarcare che la stragrande maggioranza dei detenuti mafiosi condannati all’ergastolo che non hanno collaborato si trovano, nel contempo, sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41bis ord. Penit.. Quindi riesce difficile immaginare una partecipazione ad un qualsiasi percorso rieducativo in quanto il condannato è costretto a vivere, vita natural durante, in isolamento tanto che la CEDU ha ribadito il senso disumano del predetto regime differenziato. E l’isolamento perenne del rigido regime di cui al 41bis viene utilizzato come strumento di incoraggiamento alla collaborazione o, se si vuole, di definitiva redenzione. Allora è lecito concludere che il principio della Consulta risulta inapplicabile per il mafioso ergastolano sottoposto al 41bis perchè se non collaborerà vivrà una detenzione in perenne isolamento che, come detto, è incompatibile col percorso rieducativo. Il secondo elemento richiesto dalla sentenza è l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata. E’ inutile dire che uno dei presupposti per l’applicazione del 41bis è la esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata. Questo tipo di relazione è richiesta anche per i detenuti comuni e chi frequenta gli uffici della Magistratura di Sorveglianza sa perfettamente bene che il tenore delle predette relazioni è univoco, nel senso che si fa sempre riferimento ad una personalità incline al delitto e, circostanza sempre più ricorrente, è la clausola di stile “non si escludono collegamenti con la criminalità organizzata”. Questo succede sempre per i topi di auto e i tombaroli. Immaginiamo quale possa essere una relazione della D.D.A..

    L’ultimo requisito è di difficile comprensione in quanto si richiede l’assenza del pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Chi conosce le dinamiche di una consorteria criminale e, più specificatamente di una associazione mafiosa, sa che questo pericolo non sussiste solo nel caso o di soppressione di tutti i sodali della cosca mafiosa cui il detenuto apparteneva, o nel caso di pubblica dissociazione del mafioso condannato. In altri termini, non si è pentito, non ha collaborato, ma ha preso le distanze dal mondo mafioso pubblicamente. La dissociazione può esporre a serio pericolo la incolumità del predetto. Devo condividere le preoccupazioni del dott. Gian Carlo Caselli quando paventa dissociazioni farlocche da parte dei vertici di consorterie mafiose. E’ da scartare l’idea che una prognosi del genere possa essere rimessa ad un Magistrato chiromante che dovrà fare affidamento, invece, alle informative richieste. In ultimo, è pacifico che i tre presupposti devono ricorrere in modo cumulativo e l’assenza di un elemento porterà al rigetto della richiesta. Si deciderà in via monocratica caricando di enorme responsabilità il Magistrato di Sorveglianza che, nella remota ipotesi di accoglimento del permesso premio, adotterà una motivazione rafforzata perchè, come è facile immaginare, in questi casi è molto più facile rigettare che accogliere una richiesta di questa portata. Pensate al caso Riina innestatosi a seguito di una pronuncia della Cassazione per un semplice difetto di motivazione a cui seguì il rigetto del magistrato di Sorveglianza. E’ opportuno tenere nella debita considerazione le pressioni che ogni Magistrato di Sorveglianza subirà in occasione di queste decisioni e, comunque, il permesso premio non potrà essere goduto se non prima di aver espiato almeno venti anni di reclusione. La vera innovazione della pronuncia della Consulta è la giurisdizionalizzazione della materia eliminando la preclusione assoluta che il contegno non collaborativo creava. Quindi nessun proclama di catastofismo se si è aggiunto un criterio di normalità ad un sistema che tende ad essere armonico con la Carta Costituzionale. Infatti ti capita di leggere l’inserzione del dott. Marco Patarnello, Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Roma, e comprendi di essere sulla buona strada e quelli del giustizialismo si occupassero di autovelox: non tifiamo affinchè un mafioso venga posto in permesso premio ma che non venga cancellato il principio costituzionale della rieducazione del reo.

    * di Giovanni Quarticelli, avvocato penalista

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