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    Omicidio Monopoli, nuova consulenza ribadisce che il giovane morì per il pestaggio subìto

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    Una nuova consulenza medica disposta dal pm esclude per la seconda volta eventuali responsabilità dei medici che ebbero in cura Donato Monopoli, il venticinquenne di Cerignola che, secondo l’ipotesi accusatoria della Procura, sarebbe stato picchiato brutalmente da due foggiani all’interno di un locale del capoluogo dauno. Successe la notte del 6 ottobre del 2018, il giovane morì la notte dell’8 maggio 2019, dopo 7 mesi di ricovero all’ospedale «Casa sollievo della sofferenza» di San Giovanni Rotondo. Un banale litigio tra due foggiani e alcuni cerignolani per storie di ragazze si trasformò in tragedia con Monopoli, che aveva deciso di trascorrere la serata nel capoluogo con alcuni amici. Per omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi sono indagati Michele Verderosa, 27 anni di Foggia e il concittadino Francesco Stallone di 26 anni. I due incensurati furono fermati poche ore dopo il presunto pestaggio dai carabinieri della compagnia di Foggia, e trasferiti inizialmente in carcere con l’accusa di lesioni personali. Il gip verbalizzò le loro dichiarazioni di innocenza, non convalidò i fermi in quanto non c’era il presupposto del pericolo di fuga, ma ritenendo sussistenti le esigenze cautelari dispose gli arresti domiciliari per i due indagati, che tornarono liberi nell’aprile 2019 dopo sei mesi.

    L’iniziale imputazione di lesioni aggravate dai futili motivi contestata al momento del fermo, si trasformò in omicidio volontario in seguito al decesso di Monopoli nell’avviso con cui il pm dispose l’autopsia, per poi diventare omicidio preterintenzionale (non volevano cioè uccidere) sempre aggravato dai futili motivi, quando nei mesi scorsi la Procura firmò l’avviso di conclusione delle indagini, atto che solitamente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Gli avvocati Paolo D’Ambrosio e Mario Antonio Ciarambino difensori di Stallone (Verderosa è assistito dall’avv. Francesco Padalino) contestano la tesi dell’aggressione, e sostengono che la morte di Monopoli sia stata causata da un ritardo dei medici nel diagnosticare la rottura dell’aneurisma che provocò il decesso. Il consulente del pm che eseguì l’autopsia escluse qualsiasi responsabilità dei medici. E così in seguito all’avviso di conclusione delle indagini notificato in primavera – l’indagato ha 20 giorni per chiedere nuove indagini, d’essere interrogato, presentare memorie difensive – gli avv. D’Ambrosio e Ciarambino chiesero al pm di disporre nuove indagini, sotto forma di un supplemento della consulenza medico-legale. Che è stato eseguito e i cui esiti sono stati ora messi a disposizione dei difensori dei due indagati. «Anche in questa seconda consulenza medico-legale» commenta con il cronista l’avv. D’Ambrosio «è stata esclusa la responsabilità dei medici. Ma consulenza e sue conclusioni non ci trovano d’accordo. Perché? Perché la responsabilità medica, che noi riteniamo decisiva per il tragico epilogo di questa vicenda, è stata esclusa nella nuova consulenza pure a costo di mettere in discussione l’impianto accusatorio che era stato invece cristallizzato nell’avviso di conclusione delle indagini notificato nei mesi scorsi. Si paventa adesso infatti la possibilità che l’aneurisma cerebrale che si sarebbe rotto a seguito della colluttazione, e pure in assenza di lesioni craniche riscontrate, non esisteva, come invece sostenuto dal primo consulente del pm: per cui la rottura dell’aneurisma sarebbe avvenuto secondo la nuova consulenza, in seguito a complicanze per l’emorragia cerebrale. La nostra linea difensiva – conclude l’avv. D’Ambrosio – «è dimostrare che non ci fu un pestaggio; e comunque che il decesso fu conseguenza di responsabilità dei medici, in particolare nel diagnosticare la rottura dell’aneurisma». Alla luce della nuova consulenza medico-legale, la Procura potrebbe ora rinnovare l’avviso di conclusione delle indagini, dando quindi ulteriori 20 giorni alla difesa degli indagati per eventuali richieste; oppure chiedere il rinvio a giudizio dei due foggiani.

    Litigio per le ragazze, le minacce e infine la doppia aggressione

    La tragedia avvenne in pochi minuti la notte del 6 ottobre del 2018 sulla pista da ballo del locale «Le Stelle» di via Trinitapoli alla periferia di Foggia, dove un gruppo di cerignolani tra cui il venticinquenne Donato Monopoli, aveva deciso di trascorrere il sabato sera. Stessa scelta dei foggiani Michele Verderosa e Francesco Stallone, indagati di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi. «I due indagati in concorso morale e materiale e con atti diretti a percuotere e latere Donato Monopoli» recita il capo d’imputazione contestato nell’avviso di conclusione delle indagini notificato nei mesi scorsi «ne cagionarono la morte, intervenuta per emorragia cerebrale massiva determinata dalla rottura di una dilatazione aneurismatica di cinque millimetri dell’arteria cerebrale anteriore di sinistra». In particolare – prosegue l’atto di accusa provvisorio – «Verderosa proferì frasi minacciose nei confronti di Monopoli e Nicola Lupano» (amico della vittima) «del tipo “ma lo sai qui dove siamo? Qui siamo a Foggia”» per poi passare alle vie di fatto e colpire Lupano «causandogli un trauma cranio-facciale giudicato guaribile in dieci giorni» (ai due indagati infatti la Procura contesta anche le lesioni nei confronti di Lupano). Secondo la ricostruzione accusatoria quindi Verderosa avrebbe sferrato alcuni pugni colpendo al volto Lupano; contemporaneamente Stallone «dapprima sferrò almeno due pugni al capo di Monopoli, di cui uno all’altezza del sopracciglio sinistro; e lo fece – prosegue il capo d’imputazione – con tale violenza da farlo cadere a terra; quindi si pose a cavalcioni sulla vittima e continuò a percuoterla con dei pugni, fin quando non intervenne una terza persona che cinse da dietro Stallone e lo allontanò di peso dalla vittima». Ai due foggiani il pm contesta l’aggravante «di aver commesso il fatto per futili motivi, consistiti nell’aver aggredito Monopoli dopo che quest’ultimo aveva approcciato delle ragazze loro conoscenti, e successivamente aveva protestato perché i due indagati lo avevano urtato, versandogli un cocktail addosso». Le condizioni di Monopoli apparsero subito gravi ai primi soccorritori che lo trasportarono al pronto soccorso degli ospedali riuniti, dove la prima diagnosi recitava «emorragia imponente al capo» difficilmente compatibile con l’ipotesi di un contraccolpo da caduta a terra accidentale. Il paziente in coma fu subito trasferito a «Casa sollievo della sofferenza» di San Giovanni Rotondo, mentre all’amico di Monopoli – Nicola Lupano – fu medicata la ferita al naso e venne dimesso. Monopoli rimase ricoverato nel nosocomio garganico fino alla notte dell’8 maggio 2019 quando morì.

    I genitori ormai da 18 mesi attendono giustizia

    La pagina «Giustizia per Donato» aperta su un social dopo la morte di Donato Monopoli – il venticinquenne di Cerignola deceduto in ospedale l’8 maggio 2019 dopo 7 mesi di ricovero in seguito ad un pestaggio in una discoteca di Foggia – in pochi giorni registrò 7mila adesioni. Ci fu un corteo, furono esposti striscioni allo stadio «Monterisi» in occasione di partite di calcio del Cerignola, decine e decine di negozi affissero sulle serranda il cartello «Giustizia per Donato». Ed è quello che chiedono da un anno e mezzo i genitori della vittima, dopo aver pregato inutilmente per un miracolo che salvasse il figlio in coma, anche con lettere aperte e interventi alla popolare trasmissione «Chi l’ha visto?» di Rai Tre. L’ennesimo appello i genitori di Donato Monopoli (si costituiranno parte civile con l’avv. Rosario Marino quando si arriverà al processo) l’hanno lanciato lo scorso settembre, in concomitanza con l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, pestato a morte a Colleferro. «Willy è l’ennesimo ragazzo che perde la vita per futili motivi» dissero «ma non dev’essere così: i nostri figli devono uscire di casa per farvi ritorno, ma se non cambiano le leggi saremo sempre qui a raccontare l’ennesima tragedia. Ci vogliono risposte come quella che chiediamo da tempo per nostro figlio».

    tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno

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