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    Punti di vista. Gli ospiti della Fiera del Libro sulla questione mafia e legalità a Cerignola

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    Come in ogni edizione, la cultura della legalità è stata uno dei fili conduttori della Fiera del Libro. Ne è dimostrazione il parterre di ospiti che, anche quest’anno, ha accolto voci autorevoli, giornalisti, scrittori e magistrati, che si sono confrontati con la cittadinanza su un tema così delicato per il nostro territorio. Sotto questo aspetto, quella del 2020 è stata una kermesse particolare, perché la prima successiva allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Cerignola e a due episodi violenti (l’omicidio Cirulli e l’agguato a Riccardi, ndr) sui quali aleggia lo spettro della criminalità organizzata. Lanotiziaweb.it ha raccolto le testimonianze di alcuni ospiti dell’edizione appena conclusa, i quali hanno fornito il proprio punto di vista circa dinamiche e problematiche della nostra città.

    QUALE MAFIA?

    Michela Magnifico è una giornalista di Telefoggia che da anni si dedica alla cronaca nera e giudiziaria. Nel corso della sua carriera si è occupata anche di fatti che hanno sconvolto la Capitanata, come l’omicidio di Antonio Perrucci Ciannamea, avvenuto nelle campagne di Cerignola nel novembre del 1999, episodio sul quale ha anche scritto un libro intitolato «Il ragazzo nel pozzo» (La Meridiana, 2019). Ai microfoni de lanotiziaweb.it la cronista ha tracciato un profilo della criminalità organizzata del Basso Tavoliere e di come questa si sia evoluta dagli anni ’90 ad oggi: «C’è una fase nuova nel fenomeno mafioso di Cerignola. La differenza tra ciò che accade adesso e quello che succedeva vent’anni fa è che non esistono gruppi mafiosi collegati tra loro. Esiste invece una ‘microcriminalità’ che agisce in varie parti d’Italia, soprattutto col business degli assalti ai portavalori. Sono organizzazioni dotate di grande ferocia e che, nonostante abbiano contatti con le altre realtà mafiose della provincia, come ad esempio quelle del Gargano, mantengono una propria autonomia». Il perché di una criminalità così aggressiva va cercato nella povertà culturale che attanaglia il territorio. Ad affermarlo è il Procuratore Capo di Foggia, Ludovico Vaccaro, che insiste sulla necessità di investire denaro ed energie per favorirne il progresso, affinché non rimanga indietro, nelle mani dei clan: «Il problema della criminalità di Cerignola, come di tutto il circondario della provincia di Foggia, è serio ed ha tante cause culturali, perciò stiamo cercando di fare questo lavoro sulle regole. Ed è anche un problema di possibilità, di opportunità, di pari dignità. Quello che manca e che mortifica la dignità delle persone è proprio la mancanza di opportunità di lavoro. Questo territorio ha un enorme bisogno di sviluppo culturale, sociale ed economico, perché solo così si combatte la criminalità, non solo con le indagini ed i processi».

    LA NARRAZIONE SUI MEDIA: COME (NON) RACCONTARE IL TERRITORIO

    Aspetto non secondario è quello della narrazione che i media fanno di questi fenomeni, entrando nel vivo delle problematiche del territorio. Nelle scorse settimane è andata in onda su canale Nove la trasmissione televisiva d’inchiesta “Avamposti, che ha delineato senza mezzi termini il quadro di una Cerignola impossibile da capire per chi non la vive. Non si sono fatte attendere polemiche ed indignazione per quello che si è raccontato e soprattutto per come lo si è raccontato. Su questo spinoso aspetto ha tenuto a dir la sua anche il procuratore Vaccaro: «(‘Avamposti’, ndr) È una trasmissione che non mi è piaciuta per niente. Una cosa sono l’informazione e la denuncia, altra cosa è la spettacolarizzazione della criminalità ed il calpestare la dignità, anche di coloro che hanno sbagliato. Non si possono far vedere gli arresti in flagranza, le perquisizioni mentre si eseguono, tra l’altro con problematiche legate alla riservatezza delle indagini. Non è stata una bella trasmissione. Non si può calpestare la dignità delle persone, riprese in modo tale che i concittadini potessero riconoscerle, e della comunità di Cerignola, già provata dallo scioglimento del Comune per mafia, giustificandosi col diritto di cronaca». E aggiunge: «Va bene denunciare le situazioni, ma bisogna farlo con rispetto dei singoli e delle collettività. Bisogna farlo soprattutto non gettando una luce solo sinistra sul territorio, ma aprendo alla speranza delle opportunità e delle possibilità di cambiamento». Dello stesso avviso è il giornalista ragusano Paolo Borrometi, vice-direttore dell’Agenzia AGI e fondatore del sito LaSpia.it, che vive sotto scorta dal 2014, anno in cui è stato vittima di una brutale aggressione mafiosa. Borrometi tiene a mettere in guardia da facili generalizzazioni: «Non dobbiamo prendere Cerignola o la vicina Manfredonia come se fossero il male assoluto. Le mafie oggi sono ovunque in Italia, ovunque in Europa e in molte parti del mondo» – dichiara al nostro sito -. «Cerignola e Manfredonia, come Vittoria e Pachino in Sicilia, sono soltanto dei luoghi che, per il fatto che ci siano stati dei fatti di sangue, sono passati all’onore delle cronache. Non vanno etichettati però come il male assoluto perché non c’è nessuna differenza tra la mafia di Cerignola e quella di altri territori. Non possiamo fare parallelismi, non possiamo soprattutto etichettare un’intera popolazione perché Cerignola non è mafia. A Cerignola, come a Bari, come a Milano, come a Roma, c’è la mafia, che è una cosa ben diversa». E ai cittadini che si sono ritenuti lesi nella propria dignità da alcune inchieste giornalistiche dice: «Penso che qualsiasi trasmissione e qualsiasi servizio giornalistico sia importante per sviscerare i temi. Le comunità non si devono sentire offese, anzi devono esprimere gratitudine affinché questi temi vengano portati all’attenzione». L’essere riconosciuti come “terra di mafia” non va vissuto come uno stigma, anzi deve fornire la forza alla comunità per essere consapevoli e continuare a lottare. Ne è convinta Michela Magnifico: «La criminalità è simile a una malattia. Se si è consapevoli di essere malati, si riesce a mettere fuori tutta la forza per reagire. Cerignola ha il marchio di ‘terra di mafia’, ma ciò deve far sì che la parte sana della comunità trovi la forza per affermarsi sul territorio, trainando magari quella parte di popolazione che vive in una pericolosa area grigia al limite tra legalità e illegalità».

    PASSI IN AVANTI, VERSO LE URNE ELETTORALI

    La criminalità e la lotta alla criminalità ci imprigionano in un eterno presente, ma è impossibile non fare i conti col futuro, soprattutto se prossimo. Tra poco meno di un anno (salvo proroghe del commissariamento del Comune, ndr) Cerignola sarà chiamata ad eleggere il proprio Sindaco. Una responsabilità non indifferente per il prossimo primo cittadino, che dovrà condurre la città fuori da una palude amministrativa, ma anche per gli elettori, che saranno chiamati alle urne in un clima surreale e di incertezza. E il dott. Marco Dinapoli, ex Procuratore presso la DDA di Bari, dai nostri microfoni si rivolge ad essi, chiedendo di prestare molta attenzione quando dovranno scegliere a chi dare il proprio voto: «Non si può chiedere l’eroismo, ma una buona moralità e senso civico sì. È sbagliato mettere la croce su un simbolo di partito in cambio di qualche utilità o per motivi ideologici. Guardate le persone e non date fiducia a chi non la merita».

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