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    Cerignola, cent’anni dalla nascita di Riccardo Carapellese

    Protagonista del calcio italiano del secondo dopoguerra, ha collezionato oltre 300 presenze in Serie A. È stato suo l’onore di ereditare la fascia di Capitano del Torino appartenuta al grande Valentino Mazzola e capitano anche in azzurro ai Mondiali del 1950

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    Nasceva il 1° luglio del 1922, a Cerignola, Riccardo Carapellese. È stato fra i calciatori italiani di spicco negli anni del secondo dopoguerra. Cresciuto calcisticamente nel Torino, Carapellese si è fatto le ossa nella cosiddetta ‘provincia’, calcando i campi delle categorie inferiori con Spezia, Casale, Vigevano, Como e Novara. Le sue caratteristiche tecniche sono ben descritte in un contenuto speciale della ‘Gazzetta dello Sport’, uscito nel 2005 (“La grande storia del Milan”, DVD): «Ala imprendibile di gran talento, dallo scatto bruciante e dalla serpentina ubriacante. Ha colpi di classe cristallina, ottima tecnica, un controllo di palla finissimo ed una notevole facilità di realizzazione». Giunge in Serie A nel 1946, dove veste le maglie di Milan, Torino, Juventus e Genoa, mettendovi assieme 315 presenze con 111 goal. Inizia a far parlare di sé nell’estate di quell’anno quando, con il Novara, prende parte alla Coppa Alta Italia, uno dei tornei nati dall’impossibilità di organizzare una competizione nazionale, in un Paese spaccato in due dalla Linea Gotica e ancora profondamente ferito a guerra da poco finita. Il Novara è l’unica formazione di Serie B arrivata alla fase ad eliminazione diretta ed è chiamato ad affrontare ai quarti di finale l’Atalanta. I bergamaschi hanno decisamente i favori del pronostico e la partita d’andata, giocata il 30 giugno a Novara, termina 2-2. I cadetti hanno, sulla carta, poche chances in vista del ritorno a Bergamo, in programma il 7 luglio. Ma come in realtà è andata lo racconta il numero dell’epoca del settimanale ‘Il Calcio Illustrato’: «Che cosa avrebbe potuto fare il Novara, unico superstite della Serie B (…) e per di più costretto al pareggio sul suo terreno dai favoritissimi atalantini? Invece, senza colpi di sole (anzi, con l’invocato refrigerio degli acquazzoni), senza l’intervento di fatti speciali, il sorprendente Novara si è aperto la via alle semifinali, con un giuoco calmo e sicuro potenziato da due stoccate magistrali di Carapellese». Il tabellino recita: Atalanta 1 Novara 2. La doppietta di Carapellese porta i piemontesi in semifinale, dove fanno un’altra vittima illustre: il Genoa. Si arrenderanno in finale, dinanzi al Bologna.

    Quel torneo ha messo in luce Carapellese, che poco tempo dopo finisce al Milan. L’esordio nella massima Serie è datato 22 settembre 1946 (Milan-Vicenza 2-3, ndr). Il primo goal in A arriva meno di un mese più tardi, non proprio in una partita qualunque: il derby vinto 3-1 il 20 ottobre. È la prima delle 20 reti che realizzerà in quella stagione, e delle 52 totali in 106 partite in rossonero. Sono numeri che lo proiettano fra i primi 20 marcatori del Milan di tutti i tempi in Serie A, esattamente al 17° posto, davanti a gente come Alexandre Pato, Daniele Massaro e Marco Simone. Fa in tempo a giocare al fianco del cannoniere svedese Gunnar Nordahl, sbarcato a Milano a gennaio del 1949 e primo componente della leggendaria ‘Gre-No-Li’ (Gren-Nordahl-Liedholm) che farà le fortune del Milan nelle stagioni successive. Ma il 1949 è l’anno in cui l’Italia è tramortita da uno dei più tragici eventi legati ad una squadra di calcio, l’incidente aereo che pone fine all’esistenza del Grande Torino a Superga il pomeriggio del 4 maggio. Ad esservi particolarmente colpito è anche Riccardo Carapellese, che di quella squadra che «solo il fato vinse» avrebbe potuto essere parte e dove soprattutto aveva diversi cari amici: «Per me fu uno shock tremendo, perché dovevo far parte anche io del Torino – racconta in un’intervista del 1978 -. Novo (il presidente del Torino, ndr) voleva in maglia granata tutti i migliori giocatori. Ma il Milan rifiutò di cedermi e io litigai pure col presidente Trabattoni (del Milan, ndr). Quando il Torino volò a Lisbona per incontrare il Benfica, noi ci recammo in Spagna per un’amichevole con il Real Madrid e ci incontrammo all’aeroporto di Barcellona. Tutti, da capitan Mazzola ai giornalisti Casalbore e Tosatti, mi dissero: ‘Dai, ché l’anno prossimo sei con noi’. Dopo la partita, mentre eravamo al banchetto, arrivò la notizia che il Torino si era schiantato nel cielo di Superga. Quella mancata cessione mi aveva salvato la vita». Carapellese torna ad indossare i colori granata in autunno, ereditando la gloriosa fascia di Capitano appartenuta all’indimenticato amico Valentino Mazzola. Sono anni difficili per il Toro: i risultati della squadra schiacciasassi, capace di vincere cinque scudetti consecutivi, sono diventati improvvisamente lontani. Questo però non nega a ‘Carappa’ (soprannome che lo renderà popolare) di lasciare la sua impronta nella storia granata, portando su di sé quella maglia 98 volte e segnando 28 goal fra il 1949 ed il ’52. Il ‘Guerin Sportivo’, a dicembre del 2015, stila la classifica dei 100 calciatori del Torino più grandi di sempre e inserisce Carapellese al 56° posto.

    Ai giorni nostri non desta grande scalpore il fatto che un calciatore cambi più volte squadra nel corso della carriera: negli anni di Carapellese è, invece, ben diverso. L’essere «un irrequieto nomade del pallone», come descritto dalle cronache dell’epoca, ha reso l’ala del Basso Tavoliere un caso parecchio singolare. Nell’estate del 1952 cambia maglia ma non città, firmando per la Juventus. In bianconero divide lo spogliatoio con nomi illustri quali Carlo Parola (il protagonista della celebre rovesciata divenuta copertina degli album di figurine ‘Panini’), Giampiero Boniperti ed Ermes Muccinelli. Quell’esperienza dura però una sola stagione, con 17 presenze e 9 reti. Nel 1953 si trasferisce a Genova, sponda rossoblù. In riva al Mar Ligure vivrà le ultime quattro stagioni nella massima serie, collezionando 94 partite e 22 goal. Quelli trascorsi con la maglia del Grifone rimarranno nei suoi ricordi «quattro anni meravigliosi, indimenticabili. Mi è rimasto nel cuore il Genoa, il suo appassionato pubblico, e Genova, una bellissima città». Carapellese è stato per ben 57 anni l’ultimo genoano a segnare in Nazionale: da Italia-Francia 2-0 del 12 febbraio 1956 fino al goal di Alberto Gilardino in Italia-Bulgaria 1-0 del 6 settembre 2013.

    Già, la Nazionale. La storia in azzurro di ‘Carappa’ ha inizio in una fredda domenica di autunno. È il 9 novembre 1947 e l’Italia del c.t. Vittorio Pozzo sbarca a Vienna per un’amichevole contro la Nazionale di casa. Allo stadio “Prater” ha luogo una pesantissima debacle per gli azzurri, mai stati in partita. Il risultato finale è eloquente: Austria 5 Italia 1. Ma non per tutti i calciatori italiani scesi in campo è una giornata da dimenticare: «Quando esordii a Vienna nel 1947 entrai in campo come se dovessi andare a un assalto alla baionetta – ricorda Carapellese -.Poi ne pigliammo cinque. Ma anche quando l’Austria vinceva per 5-0, mi sentivo un leone. Presi la palla dal portiere Franzosi, attraversai tutto il campo e andai a segnare, così perdemmo 5-1, cioè salvai l’onore». La disfatta viennese è la prima di 16 presenze con la maglia della Nazionale per il calciatore di Cerignola, di cui 7 con la fascia di Capitano al braccio. Sono 10 invece le reti realizzate, due delle quali nel Campionato del Mondo di Brasile del 1950, quello del “Maracanazo”. L’Italia si presenta alla rassegna da campione in carica, sebbene dall’ultimo Mondiale disputato siano trascorsi ormai 12 anni. Agli ordini della commissione tecnica presieduta da Ferruccio Novo, dirigente della FIGC nonché presidente e creatore del Grande Torino, il quasi 28enne Riccardo Carapellese assume i gradi di Capitano di un gruppo che fra le sue fila vanta nomi quali Amedeo Amadei, Carlo Annovazzi, Giampiero Boniperti, Benito Lorenzi, Ermes Muccinelli, Egisto Pandolfini e Carlo Parola.

    È un’avventura che si presenta subito in salita, ancor prima di raggiungere il Sudamerica, come testimonia Carapellese nella citata intervista del 1978: «Partimmo con la nave Sises perché, dopo la tragedia di Superga, ben pochi se la sentivano di viaggiare in aereo». Il viaggio ha una durata di ben 18 giorni, nel corso dei quali non vi è la possibilità di svolgere allenamenti veri e propri, a parte fare degli esercizi di ginnastica. L’Italia è inserita in un girone diventato a 3 con Paraguay e Svezia, dopo il forfait dell’India. L’esordio è il 25 giugno a San Paolo, avversaria è la Svezia. Gli azzurri passano in vantaggio dopo appena 7 minuti proprio grazie a Carapellese, ma è una gioia effimera: gli scandinavi invertono l’inerzia della partita, vincendola 3-2. Ci si mette anche la sfortuna quando un tiro di ‘Carappa’ si stampa sulla traversa, a pochi istanti dal fischio finale. Il pareggio di quattro giorni dopo fra Svezia e Paraguay (2-2) elimina di fatto i campioni in carica dal Mondiale, a cui resta solo la tiepida soddisfazione di una vittoria prima del mesto ritorno in Patria. Il 2 luglio – di nuovo a San Paolol’Italia batte 2-0 il Paraguay e protagonista è ancora Riccardo Carapellese, autore del goal che sblocca la partita e dell’assist a Pandolfini che la chiude. Sul perché quella spedizione sia stata così deludente, Carapellese afferma: «Non c’era più Vittorio Pozzo in panchina e non c’era più il Grande Torino. La squadra di Mazzola più Parola ed il sottoscritto avrebbe stravinto anche in Brasile, dove avrebbe dovuto fare la riserva anche un fuoriclasse del calibro di Boniperti».

    Prima di appendere le scarpette al chiodo, Carapellese gioca due stagioni in Serie B, a Catania, fra il 1957 ed il ’59. Per lui anche un successo nelle vesti di allenatore, quando riporta la Ternana in Serie C al termine della stagione 1963/64, laddove mancava da 14 anni. Muore a Rapallo (Genova), il 20 ottobre 1995. Quello che Riccardo Carapellese ha dato al calcio italiano corre il rischio di sbiadirsi con il passare dei decenni, se non se ne ha cura. Un ritratto di ciò che ha rappresentato nell’immaginario del tifoso dell’epoca ci è consegnato da Vladimiro Caminiti, penna illustre del giornalismo sportivo italiano, sul ‘Guerin Sportivo’ del 20 gennaio 1982: «Come era dolce quel calcio cui Carapellese detto ‘Carappa’ donava i suoi guizzi, le sue azioni palla al piede, attaccava la sua barocca serpentina. Carapellese fu il giocatore che dribblò i nostri affanni, i pensieri dell’orrido passato, la paura. Tornammo a vivere con quelli come lui. Era un’ala. Volava con noi».

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