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    Omicidio Monopoli, «c’è nesso di causalità». Parlano i legali

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    Nesso di causalità, il processo si sintetizza in queste tre parole: c’è una relazione tra quanto commesso (i pugni al volto) e quanto successo (la morte)? La sentenza di primo grado dice che il ventisettenne cerignolano Donato Monopoli morì in ospedale l’8 maggio 2019 per un’emorragia cerebrale conseguenza del pestaggio subito in discoteca a Foggia il 6 ottobre 2018, dopo una banale discussione con due coetanei, i foggiani Francesco Stallone e Michele Verderosa. Il gup il 27 giugno ha condannato a 15 anni e 6 mesi Stallone, ritenuto colui che colpì la vittima e a 11 anni e 4 mesi Verderosa, ritenendoli colpevoli di omicidio volontario con dolo eventuale: non volevano cioè uccidere, ma picchiando il coetaneo si prefigurarono l’ipotesi che potesse accadere e ne accettarono il rischio. «Ma il nesso di causalità non c’è» replica l’avv. Paolo D’Ambrosio che insieme ai colleghi Mario Antonio Ciarambino, Guido di Paolo e Francesco Padalino difende i due imputati: «I due periti medici nominati dal gup nel processo abbreviato hanno parlato di “lesioni di entità assai modesta, del tutto usuali quali conseguenze di una colluttazione non prolungata e di scarso rilievo che, in termini generali, non sarebbero certamente da giudicare idonee a cagionare lesioni mortali, e che hanno tuttavia provocato l’emorragia cerebrale che colpì Monopoli a causa della preesistenza di un aneurisma cerebrale”. Per questo la morte di Monopoli fu un evento tragico e assolutamente eccezionale; come difesa contestiamo la sentenza di primo grado che abbiamo già appellato, fiduciosi nell’esito del processo di secondo grado». Vero che la morte fu causata dalla rottura di un aneurisma; vero pure che per i periti medici non è possibile stabilire se l’aneurisma fosse preesistente e non conosciuto o se sia stato una conseguenza dei pugni, ma è anche vero che i due esperti nominati dal gup ritengono “che la colluttazione sia da correlare causalmente con la lesione del vaso intracranico, quantomeno in termini di elevatissima probabilità”.

    Il gup nel condannare Verderosa e Stallone ha rimarcato questo concetto: “l’impossibilità di accertare se l’aneurisma fosse congenito o traumatico, non lascia dubbi sul fatto che il percorso causale che ha portato alla morte di Monopoli è stato avviato dalla condotta dei due imputati”. Cosa replica il difensore? «Il giudice ha sancito il principio “in dubio contra reo”; cioè in presenza di un dubbio anzichè a favore degli imputati il giudice si è pronunciato contro. I periti medici, nominati dal gup perché le consulenze di pm e difesa non gli consentivano di arrivare a una decisione, hanno inequivocabilmente accertato che Monopoli ha ricevuto uno forse due pugni, quindi non si può parlare né di pestaggio né di aver agito a costo di determinare la morte». Però i testimoni parlano di almeno due pugni se non di più sferrati al volto di Monopoli, contrariamente a quanto lei dice. «Al di là del racconto dei testimoni contraddetto peraltro da altre testimonianze» replica l’avv. D’Ambrosio «c’è la obiettività clinica riscontrata sia in pronto soccorso al momento dell’arrivo di Monopoli sia dai periti medico legali: l’unica lesione era un taglio sull’arcata sopraccigliare destra che poteva essere conseguenza di un pugno o un manrovescio». Però i periti insistono sull’esistenza del nesso di causalità tra pugni e morte. «Ma il nesso di causalità, ove ricorrente, non significa che si tratta di omicidio volontario ma tutt’al più preterintenzionale». La difesa insiste sulla presunta tardiva diagnosi della rottura dell’aneurisma da parte di chi aveva in cura Monopoli; però ben due consulenze del pm escludono responsabilità mediche. «Invece i periti nominati dal giudice hanno riconosciuto che nel trattamento di Monopoli fu omessa la corretta e tempestiva diagnosi e quindi un immediato intervento chirurgico di embolizzazione dell’aneurisma, poi effettivamente eseguito a febbraio 2019». Resta il dato di un giovane ucciso a 26 anni in quella che doveva essere una serata di festa perché picchiato dopo una banale discussione. «Quando si verifica un omicidio restano sempre spezzate due vite, a me come difensore tocca occuparmi della giusta pena a chi è stato sfortunatamente coinvolto in questa vicenda». Ammetterà che più sfortunato è chi è morto…«Sicuramente; però se Stallone ha dato un pugno non voleva uccidere nessuno. Il nostro codice penale prevede la morte come conseguenza delle lesioni, si chiama omicidio preterintenzionale, ed è punito con una pena da 10 a 18 anni» conclude l’avv. D’Ambrosio.

    I legali della famiglia «Una sentenza giusta per l’entità della pena»

    Avvocato Metta, sentenza giusta quella che ha riconosciuto Francesco Stallone e Michele Verderosa colpevoli di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Donato Monopoli? «Sì sentenza giusta, sia per la qualificazione giuridica del fatto sia per l’entità della pena» commenta l’avv. Franco Metta che insieme al collega Rosario Marino è il legale dei genitori e dei fratelli di Donato Monopoli costituiti parte civile. «Peraltro la struttura della sentenza è perfettamente sovrapponibile alle conclusioni di noi legali di parte civile. Concordiamo con il giudice che si trattò di omicidio volontario perchè i due aggressori erano perfettamente consapevoli dell’enorme sproporzione tra loro e il povero Donato, essendo praticanti di arti marziali e pugilato. Non potevano non essere consapevoli, quantomeno con accettazione del rischio che è proprio quanto ipotizza l’omicidio volontario con dolo eventuale, che colpire con tanta violenza il ragazzo e peraltro usando la maestria acquisita nel colpire l’avversario sia pure in sede sportiva, poteva mettere a rischio la vita di Monopoli». L’avv. Paolo D’Ambrosio del collegio difensivo ribatte che non ci fu pestaggio, ma tutt’al più un pugno o un manrovescio e che la rottura dell’aneurisma cerebrale, causa del decesso, fu diagnosticata in ritardo dai medici. Lei cosa dice al riguardo? «Voglio essere chiaro su aneurisma e errore medico. Ammesso e non concesso che l’aneurisma fosse preesistente o che ci sia stato un errore medico, e noi parte civile lo escludiamo, né l’una né l’altra ipotesi interrompono il nesso di causalità, per cui la responsabilità degli aggressori è evidente. Immaginiamo una persona malata di cuore che viene aggredita e poi muore: se non fosse stata aggredita non sarebbe morta. Si tratta di concetti elementari che si imparano al primo anno di giurisprudenza». La difesa eccepisce che pur non essendo stato accertato se l’aneurisma cerebrale fosse preesistente e sconosciuto o se sia stato conseguenza delle botte, nel dubbio il giudice ha condannato. «I periti medici nominati dal gup non hanno potuto stabilire se l’aneurisma fosse preesistente o conseguenza dell’aggressione, in quanto durante l’autopsia non fu prelevato il vaso arterioso oggetto del sanguinamento. Ma in questo caso» sottolinea l’avv. Metta «il principio “in dubio pro reo” sollevato dal difensore non regge perché non c’è alcun dubbio sul dato di fatto che fu l’aggressione a causare l’esplosione dell’aneurisma. Il dubbio è sulle condizioni fisiche del ragazzo, non certo sulla condotta degli aggressori. Quella della difesa è un’interpretazione capziosa e la sentenza è correttissima: o stava prima o l’hanno provocato gli imputati l’aneurisma, il nesso di causalità è rappresentato dal pestaggio».

    E l’ipotesi di errore medico? «Innanzitutto ben due consulenze disposte dal pm durante le indagini l’hanno escluso; come parti civili mai abbiamo avuto evidenze di un errore che potesse far pensare a responsabilità di chi ebbe in cura Monopoli. Sì, è vero i periti nominati dal gup hanno lasciato un’ombra di dubbio sul punto. Peraltro se fossimo una parte civile motivata dalla voglia di lucrare, avremmo tutto l’interesse a ritenere responsabili o concorrenti i medici perché avremmo modo di portare avanti eventuali richieste risarcitorie. Ma a noi legali di parte civile e ai genitori di Donato questo aspetto risarcitorio non interessa affatto; non agiremo cioè contro i medici perché gli assassini di Donato sono i due imputati». Il gup ha ritenuto l’omicidio volontario sia pure col dolo eventuale, la difesa parla di delitto preterintenzionale. «Ed è questo il vero tema centrale del processo, l’unico che ha dignità di essere esaminato dai giudici di appello. Come parte civile riteniamo che anche in secondo grado si debba confermare la corretta qualificazione giuridica adottata dal gup. Ribadisco: questo è il vero tema del processo, il resto sono argomentazioni pretestuose».

    (La Gazzetta del Mezzogiorno)

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