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    Gaming e matchmaking: come si decidono gli avversari online

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    Si accende il dispositivo, si avvia il software che interessa, si cerca un avversario e può cominciare la partita: il gaming online, nella sua componente multiplayer, è un’attività facilmente accessibile e per la quale non è necessaria alcuna conoscenza specifica, fatta naturalmente eccezione per le abilità nel singolo gioco preso in considerazione. Anche per questi motivi le componenti competitive dei videogiochi godono di tanta fortuna, con l’intero e remunerativo settore degli eSport che si basa interamente sul multiplayer. Il fatto che l’accesso a una partita sia tanto semplice per l’utente, comunque, non significa che lo sia in valore assoluto: il matchmaking, al contrario, a ben vedere è il momento nel quale si concentrano alcune particolari soluzioni tecniche che è interessante conoscere per comprendere come vengono accoppiati gli opponenti nel gaming online.

    Il termine matchmaking, parola composta inglese con il significato di creazione di una partita, indica proprio la fase nella quale vengono scelti, tra i tanti giocatori in quel momento connessi, quelli che saranno contrapposti per la partita in fase di creazione: il modo più semplice, ovviamente, è che siano gli stessi giocatori a individuare i propri avversari. Allo scopo, è indispensabile conoscere l’indirizzo IP del server di gioco: ogni match è ospitato su un server, spesso privato, e per raggiungerlo è necessario che il suo amministratore fornisca ai giocatori il codice numerico dell’indirizzo IP che identifica univocamente quello specifico server. In contesti più casual, ovviamente, non è necessario un vero e proprio matchmaking in senso stretto: l’assenza di esigenze particolari rende possibile al giocatore scegliere fra un elenco di server, o stanze, nelle quali entrare liberamente dopo aver visto informazioni come latenza o percentuale di riempimento. Basti pensare alle numerose piattaforme in rete che propongono i più iconici giochi da casinò: una volta deciso in quale cimentarsi, il videogiocatore può autonomamente scegliere in una delle stanze che lo ospitano, ponendosi come sfidante di chi vi è già entrato o, viceversa, attendendo che si connettano altri utenti per iniziare una partita. Si tratta sempre di un matchmaking, ma affidato a un browser di server: il singolo titolo, nella sezione multiplayer, prevede una schermata nella quale il giocatore può navigare come in un browser e scegliere il server che più gli aggrada sulla base delle informazioni mostrate nell’elenco.

    Nei titoli multiplayer degli ultimi anni, invece, il matchmaking è sempre più spesso un momento passivo: al videogiocatore, se non per il tramite di alcuni filtri, non è lasciata alcuna voce in capitolo su un accoppiamento del tutto automatico e gestito dal gioco. In questi casi, la scelta degli opponenti è effettuata sulla base di alcuni dati quantificabili da parte del codice del software, che riempirà il singolo server utilizzando, per esempio, un matchmaking casuale: la partita vedrà contrapposti quei giocatori che, in un dato arco di tempo, hanno cercato una partita multiplayer. Altri sistemi di matchmaking possono accoppiare i giocatori sulla base della latenza, ossia del ritardo rispetto al server espresso in millisecondi. Se un giocatore compie un’azione che si concretizzerà dopo, per esempio, 200 millisecondi, sarà in netto svantaggio rispetto ll’opponente che vedrà la sua azione compiuta dopo magari 60 millisecondi: per ovviare a questo, il matchmaking accoppierà soltanto giocatori che abbiano valori di latenza simili. Per far ciò, spesso il matchmaking avviene su base geografica: il ritardo dal server dipende in buona parte anche dalla distanza fisica dallo stesso: è per questo che giocatori europei si ritrovano tendenzialmente a giocare su server europei, giocatori americani su server americani e così via. Ultimo, ma non certo per importanza, è un tipo di accoppiamento basato sull’abilità del giocatore: si parla in questi casi di skill based matchmaking. Potrebbe sembrare strano, a pensarci, che il codice possa dare un valore oggettivo all’abilità del giocatore. In realtà è abbastanza semplice, laddove si consideri che questa viene misurata con criteri largamente generici: vengono così in rilievo per esempio le ore di gioco, il K/D ratio e altri criteri simili. Si tratta di informazioni non sempre significative, e ovviamente non in grado di rendere la realtà delle capacità del singolo videogiocatore; ma, allo stesso tempo, rappresentano le uniche informazioni utilizzabili per porre in competizione giocatori con livelli teoricamente paragonabili di familiarità con il gioco, garantendo sfide equilibrate.

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