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    Maxi-Operazione contro la “Società Foggiana”, 82 arresti. Coinvolti anche dei cerignolani

    Operazione mai vista in città: 90 indagati e 82 misure cautelari. Beccato anche il “Mammasantissima” della “Società Foggiana” Rocco Moretti detto “Il porco”, già al 41 bis per altre note vicende di malavita. Tra i nomi anche alcuni cerignolani

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    Un’operazione antimafia mai vista nella storia di Foggia. Soprattutto per i numeri: il blitz “Game Over” messo a segno oggi da Dda di Bari e carabinieri del Comando Provinciale coinvolge ben 90 persone di cui 82 raggiunte da misura cautelare. Tra queste spiccano il boss Rocco Moretti detto “Il porco”, 73 anni, già in cella al 41 bis per altre vicende, il nipote Rocco junior, i fratelli Ciro e Giuseppe Francavilla detti “I Capelloni” e molti altri elementi di spicco della malavita locale. I militari, con il supporto operativo dei colleghi degli altri Comandi Provinciali dell’Arma della Legione Carabinieri “Puglia”, dello Squadrone Eliportato Cacciatori di “Puglia”, dei Nuclei Cinofili Carabinieri di Modugno (BA), Chieti e Tito (PZ), nonché del Nucleo Elicotteri Carabinieri di Roma e dell’11° Reggimento Carabinieri “Puglia”, hanno eseguito alle prime luci dell’alba un’ordinanza di custodia cautelare monstre, addirittura 2405 pagine, firmata dal gip Rinaldi, emessa su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia e con il contributo della Direzione Nazionale Antimafia, nei confronti delle 82 persone, tutte gravemente indiziate per i reati associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti ed altri reati, aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa.

    L’agguato al bar

    Fatta salva la valutazione nelle fasi procedimentali successive con il contributo della difesa, l’imponente indagine antimafia convenzionalmente denominata “Game Over”, l’ordinanza supera le 2400 pagine, condotta dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, trae origine dal procedimento relativo all’omicidio – di matrice mafiosa – di Roberto Tizzano e al contestuale ferimento di Roberto Bruno, entrambi esponenti di rilievo della batteria “Moretti-Pellegrino-Lanza”, sotto-articolazione dell’organizzazione mafiosa nota come “Società foggiana”, attinti con colpi d’arma da fuoco il pomeriggio del 29 ottobre 2016. Per tale delitto di mafia sono stati condannati, in via definitiva, Patrizio Villani (killer garganico), Cosimo Damiano Sinesi e Francesco Sinesi, tutti appartenenti alla batteria antagonista “Sinesi-Francavilla”. Le sentenze hanno accertato che mandante dell’efferata azione fu Francesco Sinesi in risposta al tentato omicidio perpetrato, in data 6 settembre 2016, ai danni di suo padre Roberto, capo storico dell’omonima batteria mafiosa. Il luogo del delitto, bar “H24” di Foggia, si è rilevato, a seguito delle indagini compiute, la base operativa centrale del traffico di sostanze stupefacenti. Dagli sviluppi investigativi svolti al riguardo, mediante l’uso massivo di attività tecniche, anche di ultima generazione, è stata possibile, nei periodi successivi, l’esecuzione – tra le altre – di due importanti inchieste antimafia coordinate sempre dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e precisamente: “Decima Azione”, inchiesta giudiziaria conclusasi con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico dei maggiori 30 esponenti della consorteria mafiosa della cd. “Società Foggiana”, che ha riguardato il contesto criminale delle estorsioni in danno del tessuto imprenditoriale cittadino, praticate “a tappeto” e con criteri di sistematicità nei confronti delle relative vittime; “Decimabis”: inchiesta giudiziaria conclusasi con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 40 soggetti appartenenti sempre alla predetta consorteria, che ne ha accertato gli ambiti operativi criminali e le infiltrazioni nel tessuto sociale ed economico ed in particolare le estorsioni realizzate con metodo mafioso, la turbata libertà degli incanti ed anche gli agguati compiuti con armi, il tutto al fine di esercitare un violento controllo del territorio, di natura “militare”, espressione tipica di quella forza di intimidazione tipica dell’agire mafioso.

    Fiumi di droga

    L’operazione eseguita oggi, convenzionalmente denominata “Game Over”, rappresenta la prosecuzione, sul versante investigativo, nell’azione di contrasto nei confronti dell’organizzazione mafiosa “Società foggiana”. Si è in particolare focalizzata sulle fonti di guadagno illecite di tale struttura criminale che, secondo le indagini, sono derivanti da due canali: le sistematiche estorsioni, compiute ai danni del tessuto imprenditoriale e ricostruite nei dettagli dalle indagini Decimazione e Decimabis, praticate con lo scopo di far confluire i proventi illeciti nella “cassa comune”, utilizzata per il sostentamento, l’assistenza e la sopravvivenza del sodalizio mafioso; il fiorente traffico di sostanze stupefacenti, perpetrato con aggressivo e minuzioso sistema di regole, che hanno garantito, ai vertici operativi del sodalizio, non a caso coincidenti con i vertici delle “batterie” mafiose, la possibilità di un controllo capillare e di una posizione di monopolio nella vendita della cocaina, attraverso l’imposizione dell’obbligo, a pena di pesanti ritorsioni anche armate, di commercializzare esclusivamente la sostanza stupefacente fornita dal sodalizio stesso. Tale imposizione, attuata con le caratteristiche tipiche delle organizzazioni mafiose, ha assicurato all’associazione consistenti profitti illeciti ed ulteriori 7 euro per ogni grammo di cocaina venduta a Foggia. Profitti, questi, utilizzati anche per alimentare la “cassa comune”, funzionale al perseguimento degli scopi criminali della “Società foggiana”.

    Il monopolio della cocaina

    Secondo quanto emerso e ritenuto dal gip (fatta sempre salva la valutazione nelle fasi successive), i delitti contestati sarebbero stati perpetrati con metodologie organizzative ed operative che ricalcano fedelmente quelle praticate in materia di estorsioni. Le tre articolazioni componenti l’aggregato mafioso della “Società foggiana”, infatti, hanno esercitato la loro “pressione mafiosa” per la monopolizzazione del traffico di cocaina sul territorio cittadino. Per tali narcotraffici, infatti, il sodalizio in questione ha pianificato dettagliatamente l’organizzazione del traffico di cocaina attraverso continue riunioni in cui sono state determinate rigide regole (“cartello del narcotraffico”); ha imposto il monopolio della vendita di cocaina nella città di Foggia, mediante una forza intimidatrice propria, derivante dal riconosciuto nonché temuto spessore criminale dei soggetti al vertice dell’organizzazione stessa, direttamente investiti dagli storici capoclan, che si sono avvalsi di una fitta rete informativa, utilizzata per controllare militarmente le “piazze” di spaccio; ha immesso sul mercato cittadino considerevoli quantitativi di sostanze stupefacenti, stimati in circa 10 chilogrammi al mese di cocaina, acquistata ad un prezzo di poco inferiore ai 40 euro al grammo, poi rivenduta, a seconda dei casi, a 55 o 60 euro al grammo.

    Almeno 200mila euro al mese

    I profitti realizzati dalla consorteria mafiosa sono quantificabili in almeno 200.000 euro al mese, e le dosi di cocaina immesse sulle piazze di spaccio corrispondono, invece, a circa 50.000 al mese. Il “cartello” avrebbe usufruito di depositi sorvegliati per la custodia ed il confezionamento della cocaina e avrebbe “governato” le piazze di spaccio con una fitta rete di venditori, tutti pienamente consapevoli di operare illecitamente nell’ambito di contesto associativo asservito a scopi mafiosi (finalizzazione mafiosa del narcotraffico), inquadrati in vere e proprie “squadre operative” e ripartiti, secondo il livello operativo, nella “lista dei grossi” e nella “lista dei piccoli”, a cui venivano distribuiti con cadenza regolare quantitativi prestabiliti di cocaina, nell’ordine delle centinaia di grammi i primi e delle decine di grammi invece i secondi. Il cartello dei narcos avrebbe inoltre mantenuto una minuziosa contabilità della droga distribuita alle “squadre di spaccio” e dei relativi corrispettivi realizzati, riscuotendoli mediante gli “addetti al giro inverso” presso gli spacciatori ed elaborando così vere e proprie “liste della contabilità”, funzionali alla gestione del narcotraffico; avrebbe infine raccolto i profitti del traffico di droga e, in analogia con la gestione dei profitti delle estorsioni, avrebbe alimentato la “cassa comune”, utilizzata per distribuire i guadagni illeciti, assicurare somme ai sodali, denaro devoluto al mantenimento dei familiari ed accoliti in stato di detenzione, anche al fine di scoraggiare il fenomeno del pentitismo.

    Il “pactum sceleris” siglato dai capi storici dei clan

    Le tecniche investigative adoperate hanno messo in luce l’essenza e la natura dei vincoli che univano – a vario titolo – tutti i soggetti coinvolti nel core business del “Sistema”, vale a dire l’esercizio in forma “imprenditoriale” della cessione di cocaina. La strategia criminale dei componenti dell’organizzazione presupponeva – come è risultato da talune conversazioni chiare ed esplicite – la sussistenza “a monte” di un “pactum sceleris”, siglato dai capi storici dei clan componenti le batterie mafiose confederate nella “Società Foggiana”. I metodi di gestione del traffico di stupefacenti (a cui gli stessi indagati avevano dato, a loro volta, il nome di “Sistema”), prevedevano l’attribuzione, all’interno del sodalizio, di ruoli ben definiti e per ciascuno dettagliatamente ricostruito agli esiti del vaglio del materiale investigativo raccolto. Le indagini così condotte dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e con il contributo della Direzione Nazionale Antimafia, che ha applicato un suo magistrato, hanno permesso di conoscere numerosi e dettagliati elementi caratterizzanti le complesse ed articolate dinamiche delittuose dell’organizzazione mafiosa, nonché i rapporti interni, non privi di conflittualità tra gli stessi indagati, l’accurato modus operandi utilizzato, la portata del traffico di stupefacenti commercializzato in regime di monopolio, controllato grazie al ricorso a metodi mafiosi, ed in ultimo anche la ripartizione e destinazione finale dei profitti illecitamente realizzati, per alimentare, senza soluzione di continuità, il “Sistema” della “Società foggiana”.

    TUTTI I NOMI

    Sono 82 le persone raggiunte da misura cautelare in carcere: Ciro Albanese detto “Pipistrello”, 31 anni; Alessandro Aprile alias “Skiattamurt”, 39 anni; Francesco Battiante, 26 anni; Vincenzo Bevilacqua detto “Sgangà”, 30 anni; Angelo Bruno detto “Il pirata”, 55 anni; il suo omonimo Angelo Bruno detto “La ciotta”, 36 anni; Carmine Bruno alias “Uba Uba”, 48 anni; Giuseppe Bruno alias “Il cacato”, 31 anni; l’omonimo Giuseppe Bruno, 57 anni; Leonardo Bruno, 35 anni; Marianna Bruno detta “La lesbica”, 46 anni; Roberto Bruno detto “Robertino”, 28 anni; Vincenzo Bruno detto “Enzuccio il cantante” 40 anni; Giuseppe Caggiano, 53 anni; Luciano Calabrese detto “Cupptill”, 24 anni; Nicola Cannone, 33 anni; Ciro Carretta, 38 anni; Francesco Carretta, 50 anni; Anna Catalano detta “La zia in campagna”, 77 anni; Marcello Cavallone alias “Il fornaio”, 52 anni; Filippo Ciavarella, 37 anni; Francesco Compierchio detto “Franchin U Nerg”, 67 anni; Arnaldo Consalvo detto “Nanduccio”, 40 anni; Michele Consalvo alias “Mezza Lingua”, 54 anni; Michele Consalvo detto “Autosalone”, 39 anni; Domenico D’Angelo, 40 anni; Fabio Ciro De Leo, 47 anni; Michele De Leo alias “La Siccia”, 47 anni; Pietro Del Carmine detto “Pierino del Lavaggio”, 37 anni; Leonardo Di Noio, 39 anni. E ancora: Armando Ferraretti, 50 anni; Giuseppe Folliero, 29 anni; Ciro Francavilla detto “Capellone”, 49 anni; suo fratello Giuseppe detto “Pino Capellone”, 45 anni; Gioacchino Frascolla, 38 anni; Antonello Frascolla, 33 anni; Vincenzo Fratepietro detto “Enzo Cerottino”, 54 anni; Marco Gelsomini detto “Marcucc U Ner”, 37 anni; Luca Gesualdo, 42 anni; Salvatore Gesualdo, 37 anni; Marco Grasso detto “Cacchiol”, 38 anni; Giuseppe La Gatta alias “Accademia”, 26 anni; Leonardo La Torre detto “Il Ciaciotto”, 42 anni; Leonardo Lanza detto “Nardino U Figl du Lepr”, 44 anni, figlio del boss Vito Bruno; Massimiliano Lioce, 51 anni; Gianluca Lo Campo detto “Gnè Gnè”, 47 anni; Francesco Lo Spoto, 39 anni; Rocco Moretti detto “U’ Purc”, 73 anni. La lista prosegue con Rocco Moretti junior, 26 anni; Franco Nardino detto “Kojak”, 60 anni; Marzio Padalino, 26 anni; Domenico Palmieri alias “Piscitill”, 42 anni; Raffaele Palumbo, 39 anni; Samuel Perdonò, 25 anni; Giuseppe Perdonò alias “Scarafone”, 35 anni; Francesco Pesante detto “U’ Sgarr”, 35 anni; Luciano Portante, 49 anni; Nicola Portante, 57 anni; Pasquale Portante, 54 anni; Antonio Prencipe alias “Pig-li”, 28 anni; Francesco Ragno, 38 anni; Vincenzo Rendine, 32 anni; Giovanni Rollo, 36 anni; Francesco Roma, 37 anni; Luciano Russo, 33 anni; Roberto Russo alias “Il Colombiano”, ucciso il 25 marzo 2022 a Foggia; Antonio Salvatore detto “Lascia Lascia”, 32 anni; Arnaldo Sardella, 38 anni; Mario Schioppo detto “Autosalone”, 42 anni; Alessandro Scopece alias “Il Cinghiale”, 38 anni, ucciso l’11 luglio 2022; Guido Siani detto “Guiduccio”, 32 anni; Giuseppe Soccio detto “Pinuccio il Sammarchese”, 40 anni; Michele Spinelli detto “Zio Michele”, 56 anni; Antonio Spiritoso, 49 anni; Giuseppe Spiritoso detto “Papanonno”, 67 anni; Lorenzo Spiritoso, 42 anni; Francesco Tizzano, 50 anni; Ciro Torraco detto “U Varvir-il barbiere”, 48 anni; Federico Trisciuoglio detto “Enrichetto Lo Zoppo”, 70 anni, deceduto per cause naturali a ottobre 2022; Michele Pio Vacca, 36 anni; Pasquale Vacca, 33 anni; Antonio Valentino, 53 anni; Nicola Valletta, 37 anni; Carlo Verderosa, 40 anni, collaboratore di giustizia; Antonio Vincenti detto “Il Nero”, 40 anni; Antonio Angelo Zagaria, 39 anni e Savino Zagaria detto “Sabino”, 55 anni. Agli arresti domiciliari Anna Catalano detta “La zia in campagna”, 77 anni. (tratto da l’Immediato).

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