Mercoledì 5 luglio presso la Corte d’Appello di Bari verrà celebrato il processo di secondo grado per la vicenda di Donato Monopoli, il 26enne cerignolano che nel maggio 2019, dopo sette mesi di coma, è deceduto in seguito al pestaggio subito nell’ottobre del 2018 nei pressi di una discoteca alla periferia di Foggia. Il giudizio d’innanzi al Tribunale di Foggia si era concluso il 22 giugno 2022 con la condanna dei due imputati, i foggiani Francesco Stallone e Michele Verderosa, rispettivamente a 15 anni e 6 mesi di reclusione e a 11 anni e 4 mesi.
FAMIGLIA E AMICI DI DONATO: «FIDUCIA NEI GIUDICI E NELLA GIUSTIZIA»
Gli amici e la famiglia di Donato hanno affidato i loro pensieri alla vigilia del nuovo giudizio ad un post sulla pagina Facebook del comitato “Giustizia per Donato”, nato a sostegno della famiglia Monopoli e che ha seguito tutte le tappe del procedimento penale: «Tra pochi giorni il 5 luglio saremo lì in quell’aula a parlare di te amore, a chiedere giustizia. Ad avere fiducia nei giudici e nella giustizia. Noi saremo lì nel nostro dolore più immenso. Speriamo che sarà l’ultimo capitolo della tua storia, una storia che mai avremmo pensato potesse finire così. Sia chiaro, nessuna condanna potrà portare indietro te e i tuoi sorrisi e nessun processo potrà farci mettere il cuore in pace, ma ci auguriamo solo di non averti deluso. Non eravamo pronti a tutto questo – scrivono i genitori – e nessun genitore può mai immaginare una cosa del genere, ma nel nostro piccolo, ti abbiamo difeso con le unghie e con i denti. Mercoledì scriveremo il capitolo finale, non sarà come nei libri in cui la verità alla fine trionfa e questa sarà l’aggravante della nostra condanna. Ma chi commette questi crimini deve essere condannato, perché non si può morire a 26 anni per futili motivi».
IL PROCESSO
Nel corso del giudizio di primo grado, Stallone e Verderosa sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio volontario. Il GUP Bencivenga, infatti, aveva ritenuto sussistente in capo a entrambi gli imputati del cosiddetto dolo eventuale, contestato a chi, pur non volendo commettere il reato, agisca ugualmente sapendo di poter provocare con la propria condotta un evento criminoso. Nelle 40 pagine di motivazione alla sentenza, il giudicante aveva inquadrato in questi termini la vicenda: Stallone e Verderosa «non agirono per uccidere […] ma pur di perseguire il fine ultimo di ‘punire’ chi si era permesso di ‘invadere il loro territorio’ hanno accettato la possibilità che l’aggressione efferata, posta in essere da due professionisti che praticavano a livello agonistico pugilato e arti marziali, avrebbe potuto cagionare un evento infausto». La difesa degli imputati, al contrario, aveva chiesto di escludere la sussistenza del nesso di causalità tra le percosse perpetrate da Stallone e Verderosa e la rottura dell’aneurisma che ha determinato il decesso di Monopoli, domandando, in subordine, di riqualificare il capo di imputazione in omicidio preterintenzionale, che può essere contestato a chi, agendo per commettere un fatto di reato (nella specie, lesioni gravissime), ne pone in essere uno più grave (omicidio). La medesima linea sarà mantenuta anche nel giudizio di appello. Il processo di primo grado era stato celebrato con le forme del rito abbreviato – il fatto è avvenuto quando non vigeva ancora la legge che ne ha escluso l’applicabilità per i reati astrattamente punibili con la pena dell’ergastolo -, il che ha consentito loro di beneficiare di uno sconto di un terzo della pena.