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    “Salvare il grano italiano”, campagna nazionale e petizione di Cia Puglia

    L’adesione di Regione Puglia e dei parlamentari Naturale, Lacarra, Lovecchio, Dell’Olio e Pagano. Importazioni massicce, speculazioni, il grano pugliese da 600 a meno di 400 euro/tonnellata. “Il grano estero costa meno agli industriali, ma quanto costa agli italiani in termini di salute?”

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    La Regione Puglia e cinque parlamentari pugliesi – la senatrice Gisella Naturale (M5S) e i deputati Marco Lacarra (Pd), Giorgio Lovecchio (M5S), Gianmauro Dell’Olio (M5S) e Ubaldo Pagano (Pd) – sosterranno la petizione (link: https://chng.it/zVC8sWyT75) e la campagna nazionale lanciate da CIA Agricoltori Italiani di Puglia per “Salvare il grano italiano” dalla bolla speculativa che, in 10 mesi, ha segnato un tracollo del valore riconosciuto al frumento duro con un calo record di 220 euro a tonnellata, un decremento del 45%. I parlamentari, stamattina, hanno risposto alla convocazione dell’organizzazione agricola e sono intervenuti all’incontro tenutosi all’Hotel Parco dei Principi, a Bari. Erano stati invitati a partecipare e intervenire tutti i parlamentari pugliesi di tutti i differenti schieramenti. E’ intervenuto con collegamento in remoto anche Donato Pentassuglia, assessore regionale all’Agricoltura, che ha annunciato il suo sostegno alla petizione e che sarà lui stesso a sottoporla all’attenzione della conferenza dei capigruppo e all’intero esecutivo della Regione Puglia.

    “Ai trasformatori e alla grande industria, il grano importato costa molto meno di quello italiano. C’è una domanda che dobbiamo farci, in proposito: quanto costa quel grano estero, in termini di salute, ai consumatori italiani convinti di mangiare pane e pasta 100% made in Italy?”. E’ stato Gennaro Sicolo, presidente di CIA Puglia e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani, ad aprire l’incontro con i parlamentari e i produttori cerealicoli pugliesi ponendo questa domanda. “Diamo ai consumatori la possibilità di scegliere”, ha aggiunto, “dando loro un’informazione chiara, ineccepibile, trasparente sulla provenienza dei grani utilizzati per produrre il pane e la pasta”. In 10 mesi, il valore riconosciuto alle imprese cerealicole per il loro grano è sceso del 45%, ma i costi per seminare, coltivare e poi raccogliere il grano su un ettaro di terreno sono passati dagli 878 euro del 2020 ai 1402 del 2022. “Con il crollo dei valori a noi riconosciuti e, contestualmente, l’aumento vertiginoso dei costi di produzione”, ha spiegato uno dei produttori cerealicoli intervenuti, “le nostre aziende non potranno fare altro che chiudere e, forse, tentare di riconvertire la produzione con altre colture”.

    Nei porti italiani, arriva grano estero da Russia, Ucraina, Kazakistan, Canada e da ancora altri paesi. “Parte del fabbisogno dell’industria della pasta arriva dall’estero, la produzione italiana non riuscirebbe comunque a coprire il 100% della domanda, ma è giusto che sia fatta una differenza – e che questa sia percepibile chiaramente anche dai consumatori – tra la qualità, la salubrità e gli standard di sicurezza alimentare garantiti dal grano italiano e i livelli qualitativi di quanto arriva dall’estero. Per questo motivo, CIA Agricoltori Italiani di Puglia, col pieno sostegno dei livelli nazionali dell’organizzazione, torna a chiedere con forza che il governo faccia marcia indietro sulla proroga con cui è slittata al 2025 l’attivazione di “Granaio Italia”, un insieme di misure poste a tutela del grano italiano e dei consumatori italiani. La Puglia è la prima produttrice italiana di grano duro, con una media che negli ultimi anni si è attestata attorno ai 9,5 milioni di quintali annui, il 30% dell’intera produzione nazionale. L’80% in provincia di Foggia, la parte restante trova dimora soprattutto nel Barese e nella BAT. Il rischio è che, progressivamente, come sta già accadendo, diminuiscano le superfici coltivate e la produzione, lasciando sempre più spazio alla dipendenza dall’estero dell’intera filiera del made in Italy per i prodotti trasformati come pane e pasta. E’ un rischio che dovrebbe mettere tutti in allarme, perché stiamo parlando di qualità e salubrità, di benessere e salute per i consumatori.

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