Un monologo forte e toccante, un itinerario attraverso tutte le sfaccettature dell’esistenza di un uomo vicino a noi più di quanto certa narrazione possa far credere. Il padre, il marito, il figlio, il servitore dello Stato, l’uomo rimasto a un certo punto solo: in «Io sono Franco», l’attore Franco Ferrante si fa carico della responsabilità di far vibrare con forza la vitalità dell’esempio di Francesco Marcone, a quasi trent’anni dal suo assassinio, riuscendovi in pieno. Nella serata di venerdì 13 settembre, presso Palazzo Fornari a Cerignola, ha avuto luogo la rappresentazione del monologo teatrale dedicato al direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, vittima innocente di mafia e del dovere, ucciso dinanzi al portone della sua abitazione la sera del 31 marzo 1995. Questo è avvenuto dopo aver effettuato una serie di segnalazioni e denunce attinenti al suo ruolo, l’ultima delle quali inviata alla Procura della Repubblica di Foggia nove giorni prima del suo omicidio.
«Io sono Franco» è uno spettacolo diretto e interpretato da Franco Ferrante, con la drammaturgia di Lidia Bucci, i costumi di Francesco Ceo e la produzione esecutiva della Cooperativa Sociale “Pietra di Scarto”, che da anni gestisce un bene confiscato alla mafia dedicato proprio alla memoria di Francesco Marcone. «Portarlo in scena è una grossa responsabilità – afferma Franco Ferrante a lanotiziaweb.it -. Il dottor Francesco Marcone è stato definito vittima del dovere e quello che è il mio dovere è portare in scena la sua storia con semplicità, con dedizione e, appunto, con responsabilità». Dopo la prima data a Foggia di pochi giorni fa, che ha fatto registrare il deciso favore del pubblico, la scelta di Cerignola come luogo della seconda non è affatto un caso: «Il dottor Marcone ha lavorato parecchi anni qui, fra Troia e Cerignola, prima di trasferirsi a Foggia. È quindi una piazza, un luogo, una città che porta i segni della storia di questo signore». È soprattutto una rappresentazione che vuole liberarsi dalle catene della retorica: «Con Lidia Bucci, che ha scritto il testo, crediamo che la lotta alla mafia, a chi vìola la regola, la fa nel quotidiano ognuno di noi, cercando di fare al meglio il proprio lavoro. C’è una parte della rappresentazione in cui si parla del padre di Francesco Marcone, Arturo, che durante la seconda guerra mondiale ha salvato la biblioteca di Foggia. Dopo aver messo al sicuro la famiglia, ha fatto il tragitto Foggia-Troia salvando moltissimi libri. Noi crediamo che questi segni portino l’eco nelle nostre scelte». E sulla forza del teatro come veicolo di messaggi di questo tipo, Ferrante spiega come «le rappresentazioni dal vivo facciano sentire forte nello spettatore l’emozione di chi recita. In qualche maniera lo spettacolo fa da ponte fra quella che è stata la testimonianza del dottor Marcone e noi. Io cerco di essere quanto più possibile sincero in questa storia».
Un’opera in memoria di una vittima di mafia, di una vicenda umana esemplare, ma con un percorso narrativo molto differente rispetto a quanto siamo abituati, come tiene a sottolineare l’autrice Lidia Bucci al nostro sito: «Abbiamo approcciato sia alla sua vita che al suo lavoro con l’interesse di chi vuol raccontare l’uomo normale. Volevamo abbattere la narrazione dell’eroe, che crea evidentemente una distanza con chi ascolta. Narrare un eroe è più semplice, ma quello che fa difficilmente riesce a farlo l’uomo cosiddetto comune. Quello che fa un uomo normale è invece fattibile da parte di tutti e ci avvicina a essere responsabili, facendo il proprio dovere». Su cosa questo monologo possa lasciare allo spettatore, Bucci afferma: «Spero che si ponga delle domande, perché ci piace avere uno spettatore interattivo con l’opera e con la performance di Franco Ferrante. Spero anche che stimoli la curiosità, che spinga chi ascolta a scoprire un po’ di più della vita di Francesco Marcone (a tal proposito c’è il libro “Storia di Franco”, scritto da Maria Marcone, sorella di Francesco, e riedito da La Meridiana, ndr). Perché è così che se ne tiene viva la memoria, il suo senso di responsabilità da applicare nel quotidiano».
«Io sono Franco» è anche la testimonianza di quanto, almeno in questo caso, i latini non fossero lontani dalla verità nell’affermare che nel nome di un uomo è racchiuso il suo destino. “Franco” Marcone è un conterraneo di cui essere fieri, il lungo e caloroso applauso a conclusione dello spettacolo è stato senza dubbio mosso anche da questo.