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    “Mina, viva lei”: Tony Di Corcia ha presentato il suo ultimo libro a Cerignola

    In un gioco con la nota scrittrice Barbara Alberti, l’autore foggiano usa i testi di alcune delle canzoni della più amata voce femminile della musica italiana per analizzare il nostro passato, il presente e i nostri cambiamenti

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    Molto più di un’artista: un personaggio che ha lasciato il suo inconfondibile e indelebile segno in televisione, in radio, nella moda, nel costume, nella società. Mina, al secolo Mina Anna Maria Mazzini, ha segnato un’epoca, cantando tutto, per tutti e con tutti (finanche con una star giovanissima come Blanco), senza mai fare calcoli e farsi ingabbiare. A raccontarci “La Tigre di Cremona” da un punto di vista inedito è Tony Di Corcia, giornalista e scrittore foggiano che, dopo aver ripercorso a suo modo vite illustri come quelle di Gianni Versace, Valentino, Giorgio Armani, Alda Merini e Andrea Pazienza, è adesso nelle librerie con «Mina-Viva Lei», scritto per le Edizioni Clichy. L’opera è stata presentata a Cerignola nella serata di sabato 3 febbraio, presso la libreria “L’albero dei fichi”. Nell’evento, condotto dalla counselor Mattea Belpiede, l’autore ha posto l’accento su come la figura di Mina sia capace di tenere unito l’immaginario di un Paese, andando ben oltre le distanze generazionali, avendo ancora tantissimo da dirci, nonostante si sia ritirata dalla vita pubblica dal 1978.

    «C’è stato sicuramente un prima e un dopo, grazie a Mina – afferma Di Corcia a lanotiziaweb.it -. Nella musica, come nel costume e nella moda, ci ha dato una grande lezione, quella della libertà. La libertà di cantare in un certo modo, di vestirsi in un certo modo, di vivere in un certo modo. Avere un figlio fuori dal matrimonio in un tempo in cui il perbenismo era ai massimi livelli, la decisione di ritirarsi al culmine della sua carriera e al massimo della sua bellezza, sono espressioni di grande libertà. Un libro su Mina è quindi un omaggio a una donna che ha fatto di questo valore l’ossatura della sua vita. Scriverlo è stato una grande gioia, dialogando con la scrittrice Barbara Alberti. È stato un grande onore e piacere chiacchierare con lei di Mina, utilizzandola come pretesto per parlare di donne, di uomini, di amore, di passato, presente e futuro. Mina è questo, un grande pretesto per parlare di noi stessi». Mina è anche un mezzo per disinnescare alcune cattive abitudini della società di oggi: «C’è questa moda orrenda di definire tutto “iconico”. Mi è capitato persino di sentirmi proporre un piatto di pasta “iconico”. Qualunque cosa è “iconica”. E a furia di definire tutto “iconico”, nulla è più veramente iconico. Mina invece è un’icona vera e paradossale, perché da quando si è ritirata dalle scene non ha più ufficialmente un’immagine. È quindi un’icona in assenza, continuamente reinventata attraverso fotografie, illustrazioni, disegni. Noi oggi facciamo di tutto per essere presenti, esibiamo qualsiasi cosa che facciamo, anche una torta dobbiamo farla vedere agli altri. Lei, che invece aveva una visibilità per la quale in molti darebbero un rene, si è ritirata ed è sparita. È sparita per ritrovare sé stessa. La trovo una grandissima lezione da dare ai nostri ragazzi, travolti dal mito dell’immagine a tutti i costi».

    Fra i molteplici aspetti che hanno alimentato il mito di Mina agli occhi dell’autore, c’è stato certamente l’aver cantato in dialetto foggiano (con Adriano Celentano in “Che t’aggia di’”, 1998): «Scrissi all’epoca sul free press “Viveur” un articolo per celebrare la canzone. Mina ha cantato in qualunque lingua, ma quando seppi che lo avrebbe fatto in foggiano mi pareva una coincidenza assurda. La cosa sorprendente è che mentre Adriano Celentano, che è figlio di foggiani e a Foggia c’è stato molte volte in gioventù, nella canzone parla un foggiano un po’ smozzicato, Mina invece non solo lo parla benissimo, ma manda a quel paese il personaggio interpretato da Celentano in un foggiano che la fa sembrare come nata davvero alle Croci». In conclusione, Di Corcia indica quale sia la sua canzone preferita di Mina e soprattutto ne spiega il perché: «È “Devo tornare a casa mia(1973, ndr), seguita subito dopo da “Viva lei”, che ha dato il titolo al libro. È la canzone di una donna che è indecisa se abbandonare suo marito per un nuovo amore o restare col suo uomo. È una canzone struggente, che racconta una sconfitta, una storia d’amore senza via d’uscita. Trovo che lei abbia anche il coraggio della malinconia, di raccontare delle cose che non sono immediatamente rassicuranti. Al giorno d’oggi tutto è commerciale, per cui tutto dev’essere vendibile, procurare subito il sorriso, il piacere e la soddisfazione. Io invece credo che la sconfitta sia un valore importante. È un po’ sparito dalla nostra visione, quando invece nelle scuole si dovrebbe insegnare che non tutto può terminare con la soddisfazione dei nostri desideri. Mina in questa canzone ci dice che esiste la sconfitta e bisogna saperla accettare».

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