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    Nicola Amoruso, i 50 anni di un nomade del gol con Cerignola nel cuore

    Campione d’Italia, del mondo e vicecampione d’Europa con la Juventus, è nel club degli ultracentenari del goal nella massima serie. Ben 14 maglie diverse indossate in carriera, alla Reggina ha vissuto una seconda giovinezza, scrivendo la più importante pagina di storia del club amaranto

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    Un viaggio iniziato alla fine del 1993 e giunto al termine nel 2010, fatto di 113 goal in 380 presenze, attraversando 12 città con 13 maglie addosso. Sono solo alcuni dei già ragguardevoli numeri della carriera di un calciatore che ha impresso il proprio nome in anni che oggi, grazie anche al proliferare di pagine social a tema, vengono ricordati con profonda “nostalgia”, stagioni nelle quali la Serie A era l’Eldorado del calcio internazionale. L’atleta in questione è Nicola Amoruso, attaccante originario di Cerignola, nato il 29 agosto 1974. Nella famiglia Amoruso lo sport è una sorta di religione: nonno Giacomo ha praticato il lancio del giavellotto, zio Luciano è stato anch’egli un calciatore, così come i fratelli Luca (centrocampista offensivo che ha fatto bene soprattutto in C1 con la Torres, nei primi anni 2000) e Fabio (attaccante che ha vestito le maglie di Tempio e Torres), mentre l’altro fratello Flavio e la sorella Brunella hanno sposato il tennis, anche se Flavio è stato fra i protagonisti sul rettangolo verde della rinascita dell’Audace nei primi anni della gestione Grieco. Nicola, un po’ come tanti, inizia a dare calci al pallone da bambino nel cortile del suo condominio. Lo fa soprattutto con suo fratello Luca, assieme al quale poco dopo diventa un tesserato del Trinitapoli. Nel club del vicino comune casalino incontra il primo allenatore con cui crescerà soprattutto dal punto di vista umano, anch’egli cerignolano: il compianto Matteo Faccenda. A Trinitapoli l’allora tredicenne Nicola impressiona tutti, arrivando a realizzare in una sola stagione ben 38 goal. Un rendimento che comincia ad avere un’eco e che coglie l’attenzione di un talent scout pugliese che lavora per la Sampdoria. L’osservatore, impressionato da quel ragazzino con lunghe leve e un già sviluppato senso del goal, non si fa sfuggire l’occasione di portarlo con sé a Genova per provinarlo: «Sostenni due provini nel giro di un mese – ricorda in un’intervista al ‘Guerin Sportivo’ del 1995 -. Nel primo andai molto bene e realizzai pure un gol, nel secondo pioveva di brutto e la partitella finì quasi subito. Beh, il resto è intuibile: rimasi a Genova previo assenso dei miei. Avevo quattordici anni, mia madre che sbuffava e mio padre che mi spronava a proseguire l’avventura. Insomma, tutto esaltante ma anche difficile al tempo stesso».

    Nel 1991 Nicola entra a far parte della Primavera della Sampdoria, nell’estate successiva allo storico scudetto conquistato con Vujadin Boskov in panchina e i “gemelli del goal” Vialli e Mancini. Ha quindi l’opportunità di allenarsi spesso con grandi giocatori, iniziando anche ad ottenere qualche convocazione con la prima squadra. A 19 anni, esattamente il 12 dicembre 1993, il sogno diventa realtà: Nicola Amoruso fa il proprio debutto in Serie A, non su un campo qualunque. Esordisce infatti a ‘San Siro’, “La Scala del calcio”, subentrando al 67’ di un Inter-Sampdoria che, nonostante il risultato negativo, rappresenta un momento indelebile: «Ho esordito nella Sampdoria – ricorda a distanza di anni in un’intervista a ‘Jz Sport News’ – con la quale sono cresciuto calcisticamente. Posso dire di aver avuto il privilegio di giocare con calciatori formidabili come Mancini ed esser stato allenato da un tecnico internazionale come Sven Göran Eriksson. Con l’Inter, nonostante perdemmo per 3-0, l’emozione di poter entrare in un campo gremito come San Siro è una di quelle che ti rimane in mente per tutta la vita». La gioia del primo goal in massima serie non tarda molto ad arrivare. È il 6 febbraio 1994 quando la Samp riceve a ‘Marassi’ l’Udinese e, appena subentrato a Gullit, su assist di Attilio Lombardo realizza sotto la Gradinata Sud un goal da navigato rapinatore d’area. Chiude la sua prima stagione da professionista con 10 presenze, 3 goal e la conquista di una Coppa Italia nel cui percorso c’è anche il suo contributo. Nell’annata successiva la Samp decide di mandarlo in prestito in B per fare esperienza da titolare: il club preferirebbe l’ambizioso Verona, ma Nicola sceglie la Fidelis Andria per riavvicinarsi a casa. La stagione con i federiciani sarà ampiamente positiva, con una tranquilla salvezza ottenuta grazie ai suoi 15 goal in 34 presenze. Nel 1995 torna quindi in Serie A dove, non rientrando più nei piani dei blucerchiati, ad accoglierlo c’è il Padova. A livello personale per Nicola è un’ottima stagione, la prima da titolare nel massimo campionato con 14 goal in 33 presenze, ma gli euganei chiudono mestamente all’ultimo posto.

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    Tuttavia per “Nick dinamite” (soprannome che si è guadagnato per via dell’esplosività dei movimenti con cui va a rete) il meglio sta per arrivare, poiché attrae su di sé l’attenzione della Juventus di Marcello Lippi, appena laureatasi campione d’Europa, che lo fa suo per circa 7 miliardi di lire. È come sognare ad occhi aperti: «Fin da piccolo tifo Juve – racconta – e ritrovarmi a vestire la maglia della mia squadra del cuore è stato qualcosa di sensazionale. Ancora oggi mi ritengo fortunato di aver fatto parte di una società di quel calibro». In bianconero lavora al fianco di fuoriclasse assoluti come Alessandro Del Piero e Zinedine Zidane. Deve fare però anche i conti con una folta e competitiva concorrenza: in un reparto composto da Del Piero, Bokšić, Padovano e Vieri trovare spazio non è affatto facile. Ad ogni modo, nella sua prima stagione sotto la Mole riesce già a lasciare il segno. Va in goal nell’andata della finale di Supercoppa Europea vinta in goleada (1-6) sul Paris Saint Germain a gennaio del 1997, e anche in Champions League si toglie diverse soddisfazioni. Sono 4 le reti in 7 presenze nell’anno dell’esordio nella massima competizione europea, la più pesante delle quali è datata 9 aprile 1997. La Juventus è di scena all’allora ‘Amsterdam Arena’, per l’andata delle semifinali con l’Ajax. Con Del Piero ai box per infortunio, Lippi lancia titolare Amoruso. Fiducia molto ben riposta: al quarto d’ora “Nick dinamite” sblocca il match finalizzando una bella triangolazione con Vieri e Jugović, in una serata che è ricordata come una delle migliori esibizioni europee bianconere dell’era Lippi (2-1 per la Juventus, ndr). In campionato fa un po’ più fatica, ma si ritaglia il suo spazio da protagonista nel clamoroso 6-1 inflitto a ‘San Siro’ al Milan: «È stata una partita che ha concluso un ciclo per il Milan di Sacchi – ricorda a ‘Radio Musica Television’ -, che aveva nelle sue fila grandissimi campioni come Maldini e Baresi. Una partita che non ebbe mai storia, eravamo una squadra fortissima anche in Europa». Su quello stesso terreno è però vittima, nel novembre del ‘97, del primo grave infortunio della sua carriera: in uno scontro fortuito con Costacurta riporta la frattura del perone. Un incidente che lo tiene fuori per quasi tutta la stagione, con il neoarrivato Filippo Inzaghi che nel frattempo inizia a segnare per non fermarsi più, facendo definitivamente suo il posto da titolare. Nel suo primo ciclo alla Juventus, durato tre anni, Amoruso colleziona 81 presenze con 22 goal, mettendo in bacheca due Scudetti, una Supercoppa Italiana, una Coppa Intercontinentale (pur restando in panchina), la già citata Supercoppa Europea, ma provando anche l’amarezza di due finali di Champions League perse consecutivamente.

    Nel 1999 passa in prestito al Perugia allenato da Carlo Mazzone: «È stata una fortuna essere stato allenato da lui – dichiara a ‘Radio Musica Television’ -, per me il 1999/2000 è stato un anno stupendo. Il mister rendeva simpatici e comici anche alcuni momenti drammatici, con la sua personalità e romanità». In Umbria Amoruso ritrova la titolarità pressoché fissa, con 11 goal siglati in 28 presenze totali, fra le quali il tanto discusso Perugia-Juventus che all’ultima giornata costa uno Scudetto alla Vecchia Signora: «Ero combattuto se giocare o meno quella partita, perché ero di proprietà della Juventus ma in prestito al Perugia. I giornali il sabato fecero delle supposizioni, visto che sarei dovuto partire dalla panchina, e così andai da Mazzone convinto di voler scendere in campo dal primo minuto. Giocai un tempo e mezzo, facendo il mio dovere. Il resto è storia, due anni dopo sarei ritornato alla Juventus». Da Perugia comincia la fase della carriera che vede Nicola girovagare per l’Italia. Nel 2000 infatti si trasferisce al Napoli. Se dal punto di vista personale la stagione è buona, con 30 presenze e 10 goal, per i partenopei, schiacciati da una crisi tecnica e soprattutto societaria, si conclude invece con un avvilente 17° posto che significa retrocessione in Serie B: «Fin da giovane ho avuto una certa simpatia nei confronti della piazza partenopea – dice in un’intervista a ‘Jz Sport News’ -, soprattutto dopo aver conosciuto mia moglie che è napoletana. È stato un anno buono per me, ma non lo ricordo con grande gioia perché retrocedemmo. La fame di calcio della piazza e la tifoseria calorosa contraddistinguono questo club da molti altri. Mi sarebbe piaciuto giocare con il Napoli in annate migliori. Benché la stagione non sia stata fra le migliori, devo ammettere che a livello umano fu davvero bella».

    Nell’estate del 2001 torna alla Juventus, come fa anche Marcello Lippi, quest’ultimo reduce dalla non indimenticabile esperienza all’Inter. In campionato lo spazio è assai ridotto, ma quelle 9 presenze sono utili per arricchire il suo palmarès con il terzo Scudetto della sua carriera. Si contraddistingue in Coppa Italia, competizione nella quale è capocannoniere con 6 centri, e fa in tempo a mettere a segno il suo ultimo goal in Champions League, decisivo per avere la meglio sul Celtic Glasgow al ‘Delle Alpi’ (3-2) il 18 settembre 2001. Nel 2002 fa ritorno a Perugia, ma con Serse Cosmi non scocca la scintilla avuta col predecessore Mazzone. Quindi nel mercato invernale si trasferisce al neopromosso Como: i suoi 6 goal nel girone di ritorno non sono però sufficienti ai lariani per evitare il ritorno in Serie B. Nuova estate e nuovo trasferimento: Amoruso sbarca a Modena, ma anche in quel caso il suo contributo (5 goal in 25 presenze) non scongiura la retrocessione del club. Va meglio nella stagione successiva, quando pur con un rendimento simile (5 goal in 22 presenze) il suo Messina ottiene uno storico 7° posto.

    Per molti sembra ormai iniziata la parabola discendente della sua carriera, ma a 31 anni “Nick dinamite” è invece all’alba di una seconda giovinezza. Nell’estate del 2005 attraversa lo Stretto, passando alla Reggina allenata da Walter Mazzarri. La prima stagione in amaranto è più che positiva, con 11 goal decisivi per l’ottenimento di una tranquilla permanenza in A. Ma il capolavoro giunge nel secondo anno in Calabria, quando per le vicissitudini del processo “Calciopoli” la Reggina parte con un -15 in classifica (successivamente ridotto a -11, ndr), penalizzazione che taglierebbe le gambe a qualsiasi squadra che deve lottare per salvarsi. Qualsiasi squadra, ma non questa. I ragazzi di Mazzarri infatti, con una rincorsa commovente durata un’intera stagione, ottengono un’eroica salvezza concretizzatasi all’ultima giornata in un assolato ‘Stadio Granillo’ colmo di tifo. E principale trascinatore di quell’impresa, in tandem col suo “gemello del goal” Rolando Bianchi, è Nicola Amoruso. In quel campionato realizza ben 17 reti, compresa quella che apre le marcature nell’ultima decisiva partita col Milan il 27 maggio 2007: «La maglia della Reggina è stata la mia seconda pelle, è stata un’esperienza fantastica – afferma -. Arrivai in amaranto a 31 anni e per me si rivelò una seconda giovinezza. Devo ammettere che è stato qualcosa di straordinario. Tutt’oggi sono molto legato con la città, con la società e con la piazza. In particolare quell’anno lì siamo riusciti a fare qualcosa di unico che ancora oggi è rimasto negli annali, riuscendo a salvarci nonostante quegli infiniti punti di penalizzazione. Giocavamo a memoria e ci divertivamo davvero tanto, e ancora oggi quel traguardo lo consideriamo a tutti gli effetti il nostro Scudetto». Il cannoniere di Cerignola va in doppia cifra anche nella sua terza e ultima stagione a Reggio Calabria, per un totale di 40 goal in 98 presenze. Numeri importanti che però non gli consentono di essere considerato dai ct della Nazionale Italiana. L’unica gioia in azzurro è infatti datata 1996, quando con l’Under21 guidata da Cesare Maldini vince in Spagna gli Europei di categoria. Detenere il curioso record di miglior marcatore italiano di sempre a non aver mai giocato in Nazionale maggiore è un orgoglio misto a un po’ di rimpianto: «Dispiace non aver mai indossato quella maglia – ammette a ‘Jz Sport News’ -, ma allora nel reparto avanzato erano presenti davvero molti fenomeni. Cercare di togliere il posto a uno come Vieri, Del Piero o Signori non era affatto facile. Inoltre, i posti a disposizione erano davvero pochi, perciò diveniva un’impresa conquistare un posto in Nazionale maggiore. Forse l’avrei meritata nell’anno in cui feci 17 gol con la Reggina, ma nonostante ai tempi non la raggiunsi, non me ne feci un problema e non lo è tutt’ora». Una testimonianza che dice molto su quanto fosse elevato il livello del calcio italiano in quegli anni. Oggi, si può affermare con certezza, un attaccante del suo spessore sarebbe manna dal cielo per la causa azzurra, come evidenziato dalla recente e deludente spedizione ai Campionati Europei in Germania.

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    Dopo il triennio in Calabria, “Nick” riprende la valigia in mano: Torino (sponda granata), Siena, Parma e Bergamo. Con l’Atalanta segna il suo 113° e ultimo goal in Serie A: è il 28 marzo 2010 e, scherzo del destino, il portiere a raccogliere la palla dal sacco è quello della Juventus, a Torino. Il 29 agosto 2011, giorno del suo 37° compleanno, Amoruso comunica ufficialmente il suo addio all’attività agonistica. Appesi gli scarpini al chiodo, non ha però lasciato lo sport. È stato per due anni responsabile del settore giovanile della Reggina e per pochi mesi direttore sportivo del Palermo di Maurizio Zamparini. Ha inoltre investito in strutture sportive, essendo uno dei primi in Italia ad aprire un centro padel: «Sono stato molto precoce in questo, perché lo faccio da molti anni – ha affermato in una recente intervista a FanPage.it -. Non è una moda ma piace a molti perché è uno sport bello, completo, divertente, socializzante e ti permette di stare in forma. Ha una serie di caratteristiche che si sposano con quelle del calcio, pur essendo solo in due si creano delle dinamiche carine nella coppia». Esattamente tredici anni fa calava il sipario su una delle carriere più emblematiche di un calcio a cui in tanti sono ancora legati. Quella di Nicola Amoruso è la storia di un ragazzo di provincia che, col sudore di chi ha percorso la gavetta, giunge a coronare il sogno di giocare, segnare e vincere con la sua squadra del cuore. Ma l’umiltà che ha sempre portato con sé ha fatto sì che in provincia non abbia avuto timore di ritornarci, scrivendo pagine che resteranno indimenticate.

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